Stooges è sinonimo di Iggy Pop che a sua volta, nel cinema, è sinonimo di Jarmusch, mettere insieme questi elementi affini porta al montaggio di Gimme Danger, un documentario non così distante, se non nel tempo, da Year of the Horse (1997) che ripercorre la vicenda artistica di Neil Young & Crazy Horse. Anche la struttura del gruppo è simile, un leader carismatico che nonostante porti avanti progetti esterni alla band descrive il profondo legame con i suoi compagni come qualcosa di irripetibile, vera espressione della sua arte, energia simbiotica che si esprime al meglio solo quando suonano insieme, momento catartico in cui i suoni e idealmente i corpi si fondono in una persona sola.

Partendo dalle origini del nome la cui ispirazione deriva direttamente dai tre Stooges, lontani dalla slapstick comedy e più in sintonia con le visioni di Kerouac, gli Stooges sfoggiano con noncuranza cimeli nazisti e collezionano una lunga serie di indimenticabili e devastanti lanci di Iggy tra il pubblico, non sempre pronto ad accoglierlo tra le braccia.

Un rituale psichedelico e autolesionista, violento e comico allo stesso tempo che conferma l’epocale influenza di questi geniali disadattati negli anni avvenire, il cui fulcro è la nervosa figura di Iggy, scimpanzé in fuga dallo zoo come mostra il collare indossato, segno indelebile di una libertà d’espressione conquistata a fatica.

Già in Year of the Horse le location scelte per le interviste sono informali e intime, in questo caso sullo sfondo vediamo lavelli e biancheria piegata, un ritratto, forse di Iggy, qualche dettaglio in più sull’arredamento della sua presunta casa, anche se Jarmusch ci tiene a spiegare che il luogo è sconosciuto. Non è una novità che tra i due scorra buon sangue, in passato Iggy ha indossato i panni del cowboy in gonnella in Dead Man e con Tom Waits in Coffee and Cigarettes abbiamo assistito a un sottile “battibecco” scatenato dall’assenza dei dischi di quest’ultimo nel jukebox del bar. Questo rapporto privilegiato segna l’intero documentario, pur approfondendo la storia di ogni singolo componente del gruppo, guarda con un occhio diverso Iggy Pop che resta, come sul palco e nonostante l’età, l’indiscusso protagonista, l’American Caesar della situazione, non a caso viene ripreso comodamente seduto su una poltrona dorata. Ma è comunque l’epocale vicenda degli Stooges, tutti, ad essere celebrata, un’energia animale che rompe con i sixties, raccontata attraverso gustosi aneddoti di sicuro impatto per i fan, piacevolmente gratificati.

Gli Stooges, che si autoproclamano nichilisti e comunisti, in senso di collettiva condivisione di vita e di interessi, sono affascinati dalle sonorità dei Carnal Kitchen, di Miles Davis in Bitches Brew, di James Brown e si avvicinano al mondo della musica entrando in contatto con gruppi come gli MC5, i Velvet Underground scoperti a New York e Nico, secondo Iggy una stupenda Morticia Addams. Scrivono la propria musica al Chelsea Hotel e conoscono Bowie su sua espressa richiesta perché interessato alla figura di Iggy, a sua volta interessato alle doti manageriali di Ziggy.

Questi sono solo alcuni dei particolari che riguardano la lunga storia degli Stooges,  un’immersione energetica totale, più volte interrotta dall’abuso di sostanze, che oggi continua a esistere nella sola figura di Iggy, paladino dei tempi che furono, unico superstite della formazione originaria del gruppo (a cui il documentario è dedicato) e anche per questo ancora più prezioso per Jarmusch.

Cecilia Cristiani