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“Suspiria” di Argento e l’estetica di Tovoli

Noto principalmente per le sue collaborazioni con Michelangelo Antonioni, Tovoli si trovò proprio con Suspiria ad avere a che fare per la prima volta con il genere horror. Ciò rappresentò una sfida non indifferente per un artista che mai aveva preso parte ad una produzione di questo tipo, ma d’altro canto si rivelò anche motivo di fascino per la gamma di possibilità che un genere fantastico poteva offrire dal punto di vista visivo. 

“Vortex” di amore e di morte

A differenza di vari film di Noè, da Enter the Void a Climax, dove tutto era pregno di un iperrealismo nella forma e nel contenuti, qua siamo agli antipodi, poiché Vortex è una sorta di cinéma-vérité, un cinema verista, senza mediazioni, quasi documentaristico, per certi versi accostabile a certi film della Nouvelle Vague francese; motivo per cui, non è forse un caso che l’attrice protagonista sia la Lebrun, quella de La maman et la putain di Jean Eustache, e icona del cinema francese degli anni d’oro. L’attore che impersona il marito è invece Dario Argento, cioè il re del brivido, colui che al cinema ha spettacolarizzato la morte come forse nessun altro.

“Tenebre” di cinema allo stato puro

Tolto il piacere puramente cinefilo del cogliere i riferimenti nascosti, Tenebre rimane un’opera intrisa della forte riconoscibilità autoriale di Argento. Tornano scelte registiche che hanno fatto scuola, come la soggettiva dell’assassino e l’ossessiva valorizzazione del dettaglio, il depistaggio dello spettatore ottenuto manipolando la visibilità del materiale narrativo, la rappresentazione unica di una Roma fantasmatica. Le opere di Argento sono cinema allo stato più puro perché impossibili da esprimere con altri mezzi comunicativi, e ogni occasione di visione in sala va quindi colta al balzo.

“Occhiali neri” e le tenebre rétro di Dario Argento

Questo Occhiali neri farà storcere qualche naso, perlopiù in quanto espressione di un cinema di genere relegato al passato o a gruppi di appassionati, ma era dai tempi di Nonhosonno che Argento non dimostrava tanta sicurezza. Chi cerca un clue puzzle rigoroso, o complessi intrecci basati sulla psicologia deviante, farà meglio a cercare altrove. Già dall’esordio con L’uccello dalle piume di cristallo, oltre mezzo secolo orsono, i personaggi di Argento subiscono il processo creativo più che avvantaggiarsene, complici sceneggiature non prive di sbavature e un generale scarso interesse nella direzione degli attori.

“4 mosche di velluto grigio”, un pastiche cinefilo

È significativo che Argento parli di pastiche perché effettivamente il film, pur categorizzabile come thriller, presenta elementi appartenenti ad altri generi e registri come il comico, la cui ripetitività però rasenta spesso un non voluto macchiettismo (le gag con il postino). Da questo punto di vista, 4 mosche di velluto grigio può ben essere definito una “costruzione bizzarra”, secondo la definizione che Argento stesso dà delle sue opere. In effetti, la genesi del film è scaturita proprio dall’idea di creare qualcosa di nuovo, di diverso dai film precedenti, di bizzarro.  E indubbiamente non possono non colpire taluni aspetti della trama (per altri versi invece inverosimile) che trattano i temi del sogno e della psicoanalisi, così come alcuni arditi stacchi di montaggio e certe invenzioni visive. La tecnica è infatti uno dei due aspetti del film che ancora oggi colpiscono per la loro novità, la freschezza e l’originalità.

“Il gatto a nove code” tra sapienti rimandi e sperimentazione

A due anni di distanza dalla riproposizione de L’uccello dalle piume di cristallo, il Cinema Ritrovato 2019 ha deciso di proseguire il percorso dedicato alla celebre trilogia argentiana, riservando agli appassionati del thriller una proiezione serale de Il gatto a nove code. Malgrado tale scelta appaia coerente ed organica, non va dimenticato come il secondo film dell’autore romano abbia sofferto per decenni della sindrome del figlio di mezzo, considerato insoddisfacente dal proprio padre artistico e relegato all’infelice posizione di pellicola minore; fortunatamente, proprio a seguito di una retrospettiva losangelina, lo stesso Argento ha ritrattato i propri giudizi negativi sul lavoro del 1971. 

“Dario Argento: soupirs dans un corridor lointain” al Cinema Ritrovato 2019

Ancor prima dello slancio politico e dell’inquieta introspezione psicologica, il comburente che alimenta la fiamma del cinema di Argento è rappresentato da una pura ed insaziabile passione cinefila. Sentimento che poggia le proprie robuste fondamenta su un approccio elementare all’arte della narrazione, insito in un senso di ammirazione fanciullesca immutato nel corso del tempo. Su questa disarmante semplicità pare soffermarsi con maggior interesse l’attenzione di Jean-Baptiste Thoret, il cui scopo in questo documentario è quello di definire la persona oltre l’icona e di restituirla allo spettatore come unica ed insospettabile fonte di creatività. Uno sguardo che intercetta il regista in due periodi distinti della sua vita, mettendone a confronto le minimali differenze per evidenziare invece la persistenza dell’indole pacata e teneramente ingenua.

“Suspiria” – perché sì

Laddove Argento riusciva ad animare le proprie efferate scene di furia omicida investendole di una carica quasi sessuale, Guadagnino punta all’evocazione di una violenta aura funerea partendo dall’armonia coreografica di macabre sequenze danzate. Ma il principale tributo risiede, tuttavia, nella volontà di aggredire lo spettatore, giocando con le sue aspettative e stravolgendole con virate narrative inattese, attraverso un epilogo squilibrato e dirompente. Una cifra canonica del cinema di Arganto, il quale, nonostante l’inopportuno paragone con Hitchcock conferitogli all’epoca degli esordi, si è spesso distaccato dai convenzionali metodi di costruzione delle suspense in virtù di percorsi più tortuosi, imprevedibili e drastici. Con la medesima baldanza, Guadagnino mira alla preparazione del proprio gioco di prestigio confondendo e depistando gli sguardi al fine di garantire un’eco più roboante al lacerante affondo finale.

“Suspiria” – perché no

Il rosso vivido che schizza sulle pareti, i corpi nudi che si contorcono e la magia rimangono congelati come in una Polaroid. La ferocia di Quentin Tarantino non si addice a Guadagnino perché non ne mostra la visceralità intrinseca, bensì si limita ad esporre le viscere. Gli effetti speciali e la colonna sonora di Thom Yorke non aiutano a sorreggere il film. Così come né l’androgina bellezza dell’attrice feticcio Tilda Swinton (madre e amatrice solinga), né le bellezze di un cast che attinge, anche nello stile, da Fassbinder, non sono riusciti a liberare Guadagnino dalle catene della sua mente. Il regista quindi non riesce a far sua Suspiria, si attornia di madri-padrone costruendo un’immensa tela, apparentemente bellissima, senza poi riuscire a districarsene, forse anche a causa della sceneggiatura di David Kajganich.

Ode e requiem alla madre. La musica in “Suspiria”

Lavoro strabordante e stratificato, il Suspiria di Guadagnino guarda quello argentiano in superficie, ne coglie le coordinate narrative e ne stravolge lo spirito in un denso impasto in chiave femminile e femminista. Se il “maschile” appariva negato nel capolavoro del 1977, nel (non) remake è attraversato dalla crudele pietas della donna per un mondo morente e per un universo maschile ostracizzato nell’anima, piuttosto che respinto dalla scena. Mai come in questo caso si è lontani dall’anarchica rappresentazione del sabba, le streghe si collocano al di là del bene e del male, in una dimensione che unisce l’orgoglio e la vanità, la potenza ferina e la caparbia volontà di intrecciare il sodalizio in un corpo unico, come quello rappresentato nella danza Volk.

“Suspiria” e le sonorità dello shock

L’epifania sonora che permise il sodalizio tra Dario Argento e i Goblin, partì proprio dal brano The Swan Is a Murder Pt. I che, secondo la leggenda, sconvolse Daria Nicolodi al punto da suggerire al marito di usare la loro musica come accompagnamento “narrativizzato” alle sue scene-assolo. Dioscuri del cinema del maestro, ponte sonoro tra la terra e le potenze infere del sotto-mondo, i Goblin di Claudio Simonetti hanno saputo orchestrare, in particolar modo con la colonna sonora di Suspiria, partiture che si associano sempre di più al cinema dello shock, rievocanti atmosfere sabbatiche in sospensione tra urla soffocate, sinistri rumori di fondo e nenie ispirate al folclore mitteleuropeo. Lo sperimentalismo combinatorio della band è un felice connubio tra influenze seventies ed eighties.

Modesta proposta di revisione del cinema di Celentano

Ha compiuto 80 anni il 6 gennaio il ragazzo della via Gluck, il Molleggiato, l’Adriano nazionale, uno di quei rari esemplari di artista poliedrico (cantante, ma anche attore, regista, autore, presentatore televisivo) capace di collezionare successi strepitosi in più di un ambito artistico, senza cedere alle lusinghe della mediocrità. 80 anni di successi. Che cosa c’entra la cinefilia?  Quelli di Celentano sono film che ancora divertono e hanno qualcosa da dire sul fenomeno divistico, sull’Italia degli anni ’80 e soprattutto su usi e costumi del nostro Paese negli anni in cui si viveva un costante dualismo tra paninari e colletti bianchi, comunisti e democristiani, maggiorate e mogli.

Cinema Ritrovato 2017: le partiture dissonanti di Dario Argento

Pur tenendosi lontano da qualsiasi riferimento politico e sociale, L’uccello dalle piume di cristallo (uscito nelle sale nel febbraio del 1970, due mesi dopo la strage di Piazza Fontana) può essere considerato un film emblematico di un profondo cambiamento nella società italiana: la luce, la leggerezza e l’ottimismo degli anni Sessanta lasciano definitivamente spazio ad un nuovo decennio cupo, pesante e violento.

“L’uccello dalle piume di cristallo” e la cupa sensualità di Morricone

Steso su un’assolata spiaggia della Tunisia il giovane Dario Argento, ai tempi critico cinematografico e soggettista per Sergio Leone, ha un’intuizione visiva formidabile: un uomo cammina solo per la strada finché non assiste, attraverso una vetrina, all’omicidio di una giovane donna senza poter fare nulla per salvarla. Da questa piccola idea nasce L’uccello dalle piume di cristallo, e con esso la filmografia di un regista che avrebbe presto rinnovato le modalità di rappresentazione del terrore sul grande schermo.

Sonorità ansiogene. “Profondo rosso” tra Argento e Goblin

La spirale dell’orrore acustico, che ha influenzato molti celebri registi tra cui il John Carpenter di Halloween, aderisce perfettamente ai violenti quadri pittorici del film per annodarsi su frequenti cambi di registro, dal prog-rock all’elettronica, fino a sconfinare in un poderoso hard-rock (lo stesso che Argento avrebbe voluto utilizzare per Quattro mosche di velluto grigio) e all’esplorazione di orditi sonori in lenta progressione climatica. Il magma in ebollizione che scorre impetuoso nelle eruzioni vibranti dei Goblin