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“Vivere in pace” e lo spirito neoralista

Fabrizi è il centro nevralgico della vicenda, il vero capofamiglia della civiltà contadina (in casa vivono anche i nipoti che per lui sono come figli, proprio come Franco, il ragazzo che è fuggito dall’arruolamento), ma qui non emerge in quanto Aldo Fabrizi, bensì come protagonista dalla storia: si lascia guidare da Luigi Zampa (che lo dirigerà ancora nel 1951 in Signori, in carrozza!) senza mai andare sopra le righe, anzi trovando in certi momenti (specialmente nei dialoghi con il soldato tedesco o con il segretario fascista) un’economia recitativa che gli rende possibile esprimere mille sfumature di carattere e di pensiero senza esagerazioni. Ciò è perfettamente coerente con il tipo di uomo che gli sceneggiatori (tra i quali lo stesso Fabrizi) hanno descritto e con la mentalità della società in cui si svolge la vicenda: il titolo Vivere in pace ne rappresenta infatti sia la filosofia di vita sia l’auspicio che alla fine della guerra ogni conflitto sarà risolto. E difatti dopo i drammi e gli scombussolamenti torna la voce narrante a illustrarci una situazione nuova, dove in fondo l’unico cambiamento sta nel succedersi delle generazioni.