Denso e stratificato come ogni film di Spike Lee, BlacKkKlansman per essere compreso e apprezzato appieno richiede uno sforzo intellettuale allo spettatore, che non si limiti a una visione passiva ma colga invece i vari input al suo interno e li rielabori in connessione alla realtà contemporanea. Quello che qui si propone, dunque, non è una vera e propria recensione quanto una sorta di guida per orientarsi nell’opera, che aiuti il lettore a individuarne e interpretarne gli spunti offerti e con essi i sottotesti trattati dal regista.
Sfruttando la formula dell’edutainment (educazione + intrattenimento) statunitense già impiegata in Malcolm X, Lee cerca di raggiungere un ampio pubblico con un prodotto didattico nella forma, ma decisamente personale nei contenuti. Partendo dalla vicenda reale di Ron Stallworth – poliziotto afroamericano che negli anni Settanta, infiltratosi nella cellula del Ku Klux Klan di Colorado Springs, sventò un attentato nella cittadina – Spike ribalta i canoni tradizionali del buddy movie interrazziale, in cui il bianco è la mente e il nero il braccio, sviluppando una riflessione sull’identità, declinata in svariate forme. Identità affermate (il Black Power e il White Power); negate (la volontà dei primi di manifestare con orgoglio la propria natura finora repressa e il sistematico, violento ostruzionismo dei secondi); celate (l’immagine aperta e tollerante che il leader David Duke dà dell’Impero invisibile, Stallworth che al telefono con il Klan si passa per bianco e contemporaneamente nasconde il proprio mestiere all’attivista nera Patrice per poterla corteggiare, mentre il collega bianco Zimmerman lo sostituisce alle riunioni del KKK, negando le proprie radici ebraiche ma confessando a se stesso di aver sempre voluto essere nero).
Ma BlacKkKlansman è anche un film sul cinema e il significato delle immagini da esso proposte, come sottendono i brani di Via col vento (dove la Storia è impunemente rivisitata a favore della tribolata vicenda amorosa tra i due protagonisti) e Nascita di una nazione (che esalta la superiorità bianca tanto da aver rilanciato nel 1915 l’ormai spento Ku Klux Klan). Così anche i riferimenti a Tarzan usati dal rappresentante delle Pantere Nere Kwame Ture durante l’incontro con gli universitari afroamericani contro il sistema iconografico bianco o agli eroi della blaxploitation oggetto del dialogo tra Ron e Patrice sull’essere statunitensi e neri al contempo.
Non mancano poi i riferimenti all’attualità con i brutali comportamenti della polizia bianca nei confronti dei neri (il fermo intimidatorio di Patrice e Ture da parte dell’agente Landers, come l’aggressione a Stallworth in borghese perché creduto un criminale). O gli slogan della campagna elettorale trumpiana messi in bocca a Duke, mostrato poi in chiusura del film durante il comizio a Charlottensville nel 2017 in occasione della grande manifestazione dei suprematisti bianchi in cui morì la pacifista Heather Heyer, mentre elogia la politica del neo-presidente quale “primo passo per riprenderci l’America”. Un feroce atto d’accusa verso il clima di violenza e odio razziale cavalcato dall’ideologia reazionaria che a macchia d’olio si sta diffondendo, in forme e modalità differenti, in tutto l’Occidente, ora più che mai bisognoso d’aiuto, come simboleggia quella bandiera ribaltata a chiusa del film.