Massimo Bacigalupo è una vecchia conoscenza per gli spettatori di Archivio Aperto. Non è la prima volta, infatti, che i suoi film vengono proiettati durante la rassegna bolognese, sempre più rilevante nel panorama cinematografico italiano. Nella dodicesima edizione, in corso fino al 7 dicembre, la serata dedicata a Bacigalupo è stata inserita nell’omaggio a Jonas Mekas, che costituisce il nucleo principale della prima parte della rassegna.

Che il cinema sperimentale di Bacigalupo abbia punti di contatto con quello di Mekas (e subisca, inoltre, l’influenza di Stan Brakhage, Gregory Markopoulos, Maya Deren, al punto di rappresentare l’esempio più puro di “underground” italiano) è piuttosto evidente. Ma in Cartoline dall’America,  che abbiamo potuto ammirare nella versione ancora “in progress” il 28 ottobre e che è stata ri-sincronizzata da Home Movies, le tecniche di saturazione dell’immagine e di sovrimpressione tipiche dell’underground lasciano il posto al grado zero del cinema, a un’estetica minimalista e zen, secondo le parole dell’autore, fatta di luce solare e colori naturali, con cui Bacigalupo sembra voler superare un momento di indecisione professionale, di tormento esistenziale. Mekas, però, fa un’apparizione, in una breve scena, con la moglie e la figlioletta. Come se, in questo personalissimo e intimo racconto per immagini degli Stati Uniti, dei suoi luoghi e della sua gente, girato tra il 1974 e il 1975, mostrare il volto del filmmaker lituano fosse, per Bacigalupo, una scelta assolutamente imprescindibile.

Eppure, ciò che sorprende sempre nei film del regista ligure è la naturalezza, l’apparente casualità con cui personaggi del calibro di Ezra Pound entrano a far parte del corpo magmatico di un film, allo stesso modo in cui le competenze multimediali di Bacigalupo, la sua precoce conoscenza della letteratura americana e della musica colta non si fanno mai sfoggio presuntuoso di cultura. Non staremo, quindi, ad elencare tutti i riferimenti culturali che entrano a far parte di Cartoline dall’America, soprattutto attraverso le voci over e la colonna sonora in senso lato, ricca di rumori stranianti almeno quanto i quadretti dipinti dal vecchio Sam e venduti nel campus della Columbia University. È lo stesso Bacigalupo, che ha introdotto la proiezione, a non considerare importante soffermarsi su tutti questi elementi, che pure hanno il merito di estendere i confini del cinema al di là di una visione ristretta e tradizionale dello specifico filmico.

Ci limitiamo a sottolineare come, nell’autoreferenzialità di questo cinema, che non è un difetto ma la condizione primaria della sua esistenza, le note di Schumann, Shostakovich, Mozart da un lato, i versi poetici di Hopkins e Bashō dall’altro, nella loro felice interazione con le immagini della Bolex 16mm, siano semplicemente l’espressione di una formazione culturale umanistica che è tutt’uno con la personalità del regista, non a caso divenuto qualche anno dopo professore universitario di letteratura americana e traduttore.

Infatti, è lo stesso Bacigalupo a concludere le poche righe di accompagnamento alla proiezione chiedendosi se Cartoline dall’America è “un addio alla giovinezza e al far film”, o piuttosto “la meraviglia e la commozione del mondo”.