La tragica fine di Caligula Imperatore (1917) di Ugo Falena è stato restaurato quest’anno dalla Cineteca di Bologna a cent’anni dalla sua realizzazione. Prodotto dalla Film d’Arte Italiana (casa di produzione nata per la trasposizione sullo schermo di capolavori del teatro e della letteratura) nota soprattutto per la caratteristica di sfruttare il plein air e i veri luoghi in cui le storie erano ambientate.
In questo caso il film è ambientato a Roma e per le riprese paesaggistiche sono stati usati i giardini di Villa d’Este di Tivoli; probabilmente anche per una sorta di distacco tra il primitivismo della nascita di Roma, congiunto all’arrivo del gruppo dei nuovi Cristiani e il fiume Tevere su cui si affaccia il palazzo del folle e pagano Imperatore Caligula. Infatti la storia che narra, una delle prime persecuzioni cristiane, lo fa alternando scene di sacro e di profano, di cristianesimo e di paganesimo.
Caligula divenuto folle (e un po’ pagliaccio) dopo la morte del suo bambino, si fida dei consigli del sacerdote e ordina l’uccisione del gruppo di cristiani perché convinto che essi compiano riti in cui sacrificano dei bambini. La storia è così articolata su una struttura alla cui essenza c’è un complotto, una congiura.
Il profano raggiunge poi, nella terza parte (dal titolo: Orge), la sua consacrazione con le danze prima delle fanciulle-baccanti della corte e successivamente con una delle più lunghe scene di danza dell’attrice-ballerina Stacia Napierkowska (Eglea).
Eglea è costretta dapprima a spogliarsi di alcuni strati delle sue vesti e successivamente ad esibirsi, durante il banchetto, davanti alla corte orgiastica. Balla una danza dai forti richiami tribali che, come se fosse posseduta dalla danza stessa, diventa espressione del suo disagio interiore.
Un film che, essendo italiano, parla di bellezza e della sua costante ricerca. Ricco di scenografie dettagliate per cui sono stati ricostruiti oggetti fedeli a reperti storici dell’epoca. Di questo film è importante anche ricordare sia l’uso delle tende usate per allungare il campo e per dividere la scena, sia l’uso dei corpi, con posizioni ed espressioni, a volte anche ridicole, che appaiono in tutta la loro plasticità e malleabilità.
Storicamente il film si colloca nel periodo in cui il cinema in Italia è visto come accesso alla modernità e come mezzo per l’accrescimento della cultura nazionalista. È un film pensato per il grande schermo e che può essere “visto” veramente solo su di esso. Caligula è stato anche usato (come Quo Vadis?) come strumento per l’educazione religiosa così, al suo ritrovamento, mancava la scena della danza di Eglea; che finisce con il corpo della donna disposto su di un vassoio d’argento per essere servita all’Imperatore nelle sue stanze.
Come è stato detto al workshop dedicato al film: “Caligula ha una struttura dell’immagine che non si può adattare bene a schermi piccoli perché si rischierebbe di perdere la sua forza e sbagliare totalmente prospettiva di analisi” e grazie al Festival la sua riproduzione sul grande schermo è avvenuta, accompagnata al pianoforte di Gabriel Thibaudeau.