Un aspirante romanziere sarcastico e per metà ebreo alle prese con il blocco dello scrittore e con il divorzio, le cui serate si svolgono in compagnia di amici artisti, discutendo di letteratura e ascoltando musica jazz. Non si tratta di un film di Woody Allen ma di Dovlatov - I libri invisibili, diretto da Aleksey German Jr. e uscito nelle sale italiane tre anni dopo la presentazione alla Berlinale. Il film segue le vicende di Sergej Dovlatov, scrittore e giornalista russo nato nel 1941 a Ufa, che se oggi è riconosciuto universalmente come uno degli scrittori sovietici più importanti del Novecento, in patria lottò a lungo e senza successo con editori e direttori di riviste per veder pubblicati i propri scritti. Soltanto quando emigrò negli Stati Uniti iniziò a ottenere il giusto riconoscimento, che si concretizzò dopo la sua morte.

German, figlio dell'omonimo Aleksey German, anch'egli regista, racconta sei giorni della vita di Dovlatov, quelli tra l'1 e il 6 novembre del 1971. Siamo a Leningrado, mentre l'Unione Sovietica è nel pieno dell'era Brežnev e il disgelo che aveva caratterizzato gli anni cinquanta e sessanta è alle spalle. Un nuovo gelo avvolge infatti il paese, come ricorda la voce fuori campo del protagonista i primi secondi, ed è un torpore costrittivo che si irradia nel racconto, a partire simbolicamente dal freddo e dalla neve che ammantano la città, e a cui Dovlatov tenta di opporsi. Varcata la soglia dei trent'anni è impantanato in una situazione che sembra non avere possibilità di sbocco, invisibile agli occhi dello stato in quanto non iscritto all'Unione degli scrittori sovietici. E come lui, molti altri artisti vedono scivolare nell'oblio il proprio talento, impossibilitati ad esprimerlo.

Libri invisibili, scrittori privati delle parole, artisti emarginati, come l'amico Iosif Brodskij, un poeta costretto a lasciare l'Unione Sovietica e che in seguito vinse il Premio Nobel per la letteratura. Nemo propheta in patria. Dovlatov non è solo un racconto di matrice biografica, si muove infatti attraverso la Storia, mettendo in scena la condizione degli scrittori nell'Unione Sovietica degli anni '70 e più in generale quella di artisti di molte epoche e paesi, ignorati in vita e riscoperti dopo la morte, "come gli impressionisti e Van Gogh".

Nel film di German ribolle quello che probabilmente è il dilemma e afflizione maggiore che accompagna l'arte da secoli, ovvero l'integrità artistica contrapposta al compromesso. A Dovlatov sono commissionati articoli ottimisti, di sentimento, gli viene consigliato di inserire degli eroi nei romanzi e di scrivere un libro su Sparta, ma rinuncia e rifugge tutto ciò. Non è disposto a sacrificare la propria espressione e ad accettare una visione polarizzata della letteratura. Come gli dice un amico, estremizzando, è più onesto rubare un'auto piuttosto che mortificare e svilire il talento, consapevoli che questo possa significare una vita nell'anonimato.

Tolstòj, Puškin, Dostoevskij, in una delle prime scene il protagonista si trova a dialogare con i grandi nomi della letteratura russa. Non propriamente delle emanazioni oniriche come accade in Midnight in Paris del succitato Allen, ma attori che vestono i panni dei celebri scrittori per un film. Il confronto con il passato e la pesante eredità artistica appaiono nel presente tramite figure grottesche che devono impegnarsi a incensare l'URSS e i cui nomi vengono confusi.

È per opporsi a questo nuovo gelo che Dovlatov appare in continuo movimento, barcamenandosi tra redazioni, uffici, feste, discussioni e case di amici, in cerca di una propria collocazione. Un movimento accentuato dalla fluidità dei frequenti piani sequenza e contrappuntato da digressioni visive, con il soffermarsi dell'immagine su volti e corpi di personaggi secondari al termine delle sequenze, e verbali, con i refrain ironici sulla Piña Colada e sui 25 rubli necessari ad acquistare una bambola.

Quello di German è essenzialmente il racconto di un sognatore. Dovlatov sogna spesso Brežnev, sogna il campo di lavoro in cui lavorava come guardia. Sogna soprattutto di poter raccontare la realtà tramite i romanzi e di veder riconosciuto il talento, facendo dell'ironia uno strumento di lotta. Un racconto in cui gli artisti resistono in nome della libertà e in cui emerge la vitalità della cultura, oggigiorno troppo spesso sopita.