Nancy (Cristina Magnotti) è una bimba piuttosto introversa che vive con la madre (del padre non è dato sapere) nella periferia di una città non meglio identificata (potrebbe trattarsi di Napoli e dintorni a giudicare dalla parlata dei protagonisti). Da tempo è chiusa in un silenzio inesplicabile, non si riconosce nel proprio nome e non sente di appartenere all’ambiente che la circonda. Con gli amichetti Anna e Nicola, che la chiamano Fortuna, Nancy passa le giornate a giocare sulla terrazza del condominio, condividendo con loro un segreto inconfessabile. Il film ha ottenuto due candidature ai Nastri d'Argento. Nicolangelo Gelormini debutta al lungometraggio con un film di denuncia sociale, affrontando un tema, quello dell’abuso sui minori, talmente inenarrabile e penoso da essere effettivamente taciuto (anche se ammiccato) per tutta la durata del film.

Ispirato a una storia vera, una vicenda di abusi e morti sospette che investì il Parco Verde di Caivano nel 2014, Fortuna tenta la strada dell'ellissi per raccontare ciò che non dovrebbe mai accadere. Gelormini intesse il suo primo lungo dando alla forma il compito di veicolare la sostanza, sicuramente influenzato dalla sua formazione accademica (la laurea in Architettura), e dall’esperienza di aiuto regista di Paolo Sorrentino, si concentra sulle architetture visive e urbane, dà predominanza a una colonna sonora (rumori di fondo, tracce audio acute, stridenti, elettroniche) per lo più extradiegetica e straniante, ma dimentica un po’ troppo spesso di spargere nella narrazione semi narrativi capaci di collaborare alla costruzione di un racconto chiaro e un po’ più compiuto dei fatti.

Il virtuosismo stilistico insomma, passando da citazioni quasi kubrickiane (gli arredamenti “spaziali” tipicamente anni ‘70, le geometrie visive, le inquadrature tagliate da linee oblique e orizzontali di scalinate, palazzi, ascensori o sale d’attesa) a più recenti e palesi riferimenti sorrentiniani (gli spazi vuoti e la vista panoramica, le feste in terrazza, i cori, la radio che recita come una litania le definizioni dei nomi degli animali - lupo, maiale, giraffa...), predomina e trascende, lasciando troppo in secondo piano storia, emozioni e personaggi.  Pur apprezzando la scelta dignitosa di aggirare l’orrore della violenza contro l’infanzia facendo parlare lo straniamento in vece sua, troviamo che lo spettatore paghi in compenso un prezzo troppo alto, messo di fronte a un’operazione poco naturale e certamente anti-realistica, che richiede uno sforzo troppo grande per mettere insieme i tasselli del puzzle.

Il regista ha dichiarato alla stampa Volevo raccontare la fiducia con il minor numero di inquadrature e soprattutto senza usare dialoghi, ma troviamo che i protagonisti di Fortuna avrebbero dovuto spendere qualche parola in più per accoglierci dentro a una storia difficile, che in questo modo forse non viene raccontata in modo esaustivo. Basti dire che i cartelli finali del film dicono più di tutta la sceneggiatura srotolata in 108 minuti. E senza di essi forse risulterebbe incomprensibile o incompreso il contesto della narrazione. Così, pur riconoscendo la grande qualità visiva del film, restano oscure talune scelte narrative come la sovrapposizione e lo scambio nei ruoli della madre e della psicologa delle due attrici Golino/Turco, o la ripetizione di alcuni accadimenti (il funerale di Nicola) in chiave di rimozione psicologica.

Ugualmente spaesante e disorganica risulta la fuga dalla realtà messa in campo dalla piccola protagonista, come unica reazione possibile al tradimento della sua infanzia subito dagli adulti: Fortuna/Nancy si rifugia in una favola spaziale, che la rilegge in chiave cosmica come una principessa minacciata dai giganti, in attesa di tornare sul suo pianeta interstellare “Tubbies”, dove volerà nel salto del finale. Peccato che lo spettatore non riesca pienamente a buttarsi con lei in questo volo poetico di reinterpretazione della sua crudele realtà. Il fatto che nemmeno i genitori della vera protagonista del triste fatto di cronaca (Fortuna Loffredo) si siano ritrovati in questa lettura, e che non abbiano rilasciato il permesso di trarne il film, depone probabilmente a sfavore dell’operazione intera che così ha fallito nel suo primario obiettivo di rilettura poetica della tragedia.