Con Gli Uccelli (1963), Alfred Hitchcock cercò di conquistare una nuova parte di pubblico e di critica, più sofisticata e colta, che lo aveva sempre giudicato “commerciale” e “furbo” più che di effettivo valore artistico. Conseguentemente, anche grazie al prestigioso sostegno di istituzioni culturali come il MOMA di New York e il Festival Cinematografico di Cannes e di intellettuali americani e europei come Andrew Sarris, François Truffaut e i critici dei Cahiers du cinéma, Hitchcock utilizzò Gli Uccelli per promuoversi come auteur: non semplicemente un abile tecnico del linguaggio cinematografico, ma l’unico responsabile di un’opera d’arte di qualità. Realizzò quindi una campagna pubblicitaria che rendesse visibili le caratteristiche del nuovo film compatibili con quella descrizione di “maestro della suspense” che i fan gli avevano tributato e che, al tempo stesso, avvicinasse Gli Uccelli ad una dimensione diversa di cinema d’autore attirando anche nuovi settori di pubblico.

Non a caso, una parte consistente della campagna pubblicitaria del film è costituita dalle foto di Philippe Halsman, collaboratore abituale del surrealista Salvador Dalì e che avrebbe anche documentato gli incontri tra Truffaut e Hitchcock per il volume del critico e regista francese Il cinema secondo Hitchcock (1966). Inoltre, Hitchcock lavorò attivamente sulla prima stesura della sceneggiatura di Evan Hunter chiedendo esplicitamente sostanziali modifiche al finale della prima versione in modo da renderlo più aperto, arrivando a cancellare la convenzionale scritta “THE END”, senza offrire un’effettiva risoluzione dei rapporti tra i personaggi o una plausibile spiegazione del comportamento degli uccelli. Queste erano caratteristiche riconducibili al cinema d’autore europeo che potevano costituire un’attrattiva per un nuovo tipo di pubblico ma che spiazzarono decisamente i fan abituali del regista.

Le fotografie di Philippe Halsman, autore della bizzarra serie sui baffi di Dalì e del celebre scatto Dalì Atomicus (1948), avvicinano chiaramente il film ad un contesto di arte alta, intrecciando gli elementi di mistero e terrore, gli uccelli, a riferimenti auto-ironici in un sofisticato discorso che rimanda costantemente all’artificio della rappresentazione cinematografica e artistica. Si consideri l’ormai iconica fotografia di Hitchcock mentre fuma un sigaro sulla cui estremità, che sta diventando cenere, è appoggiato un uccello. L’immagine, come altre della lunga serie di scatti realizzati per la pubblicità de Gli Uccelli, ha un’evidente dimensione surreale che spinge verso la parodia fin dalla narrazione della corpulenza di Hitchcock, qui ulteriormente esagerata dalle guance artificialmente gonfiate nell’atto di inalare una boccata di fumo.

Il cielo, uno sfondo fotografato volutamente fuori fuoco, e l’uccello, chiaramente impagliato e legato al sigaro, sono altri due elementi che sottolineano auto-ironicamente l’artificiosità dell’immagine che evoca la messa in scena cinematografica anche attraverso la simulazione del movimento dell’uccello. La stessa dimensione surreale si ritrova nelle fotografie in cui un corvo con le ali spiegate quasi si sovrappone al corpo di Tippi Hedren come se fosse un cappotto da indossare o nella coesistenza dell’immagine di Hedren attaccata da due uccelli con quella di Hitchcock che si appresta a mangiare un pollo

Osservando la centralità del personaggio Hitchcock nella promozione de Gli Uccelli, centralità confermata anche dalle locandine, in cui il nome del regista appare a caratteri cubitali prima del titolo e il suo ritratto sovraintende alla narrazione cinematografica, la caratterizzazione elaborata da Truffaut di Hitchcock come “il più grande bugiardo del mondo” è particolarmente evocativa. Hitchcock stesso, secondo il regista francese, è un personaggio hitchcockiano che nasconde il suo genio dietro un’apparenza comune, affascinato e, al tempo stesso, ossessionato da una sua possibile rivelazione.