Scrivere de Gli uccelli di Hitchcock è piuttosto complesso, rischia di diventare un esercizio di stile sull’esempio di Queneau. Si può analizzare il film da una diversa prospettiva e soprattutto ci sono nuovi scorci a cui prestare attenzione? A questa domanda non ho saputo rispondere ma è una certezza che gli esercizi di stile siano pressoché infiniti. L’influenza di Edgar Allan Poe nell’opera di Hitchcock si tocca con mano, non solo ne Gli uccelli dove, con ogni probabilità, il merlo indiano che Melanie ordina nel negozio dei lovebirds avrebbe di certo ripetuto allo sfinimento “nevermore”.

Entrambi, sostiene il regista, sono rimasti prigionieri di un genere, la suspense: “Se io facessi un film su Cenerentola, tutti cercherebbero il cadavere. E se Allan Poe avesse scritto La bella addormentata nel bosco, tutti cercherebbero l’assassino”. (Hitchcock secondo Hitchcock, a cura di Sidney Gottlieb, Milano 1996). A Poe, Hitchcock, riconosce il merito di averlo spinto a fare film di suspense, entrambi sono soliti narrare una storia assolutamente incredibile “con una logica allucinatoria tale da dargli l’impressione che la vicenda potrebbe accadergli l’indomani stesso”, sistema efficacissimo se si vuole alimentare l’identificazione dello spettatore e del lettore con il protagonista. All’opera di Poe (e a quella di Lautréamont) si deve la nascita del surrealismo, l’incontro con il cinema è fatale, una contaminazione a cui nemmeno Hitchcock resta immune.

Poe è un romantico, precursore della letteratura moderna ma pur sempre legato alla propria epoca, un poète maudit, non un regista commerciale, la differenza sostanziale è per Hitchcock la mancanza di senso dell’umorismo, entrambi desiderano far rabbrividire le persone, ma con humour è tutta un’altra storia. Suspense e humour sono questi gli ingredienti necessari perché la narrazione funzioni, senza nulla togliere a Poe, ovviamente. Hitchcock sembra rammentare con nostalgia quando di ritorno dall’ufficio si rinchiudeva nella sua stanza con una edizione economica dei Racconti del grottesco e dell’arabesco, siamo tutti d’accordo nel dire che a qualcosa è servito…

A questo punto mi sembra indispensabile aprire una piccola parentesi sullo humour nero e André Breton nell’introduzione al libro Antologia dello humour nero (1966), argutamente intitolata Parafulmine, illustra in modo esauriente di cosa si tratti, tra l’altro tra gli autori qui raccolti compare anche Poe. L’humour spiega Sigmund Freud, “ha qualcosa di liberatorio, analogamente allo ‘spiritoso’ e al comico, ma ha inoltre qualcosa di sublime e di elevato, aspetti che non si ritrovano in quegli altri due modi di acquisizione del piacere attraverso un’attività intellettuale”. Si tende con lo humour a risparmiare il dispendio di energie reso necessario dal dolore, una liberazione che provoca un immediato piacere, celebre l’esempio freudiano del condannato a morte che un lunedì mentre è condotto al patibolo esclama: “Ecco una settimana che comincia bene!”. In pittura lo humour si è comportato come un vincitore in un paese conquistato, “la sua erba nera non ha smesso di crepitare dovunque è passato il cavallo di Max Ernst, La mariée du vent”, Breton attribuisce ai tre romanzi a collage di Ernst un importante ruolo nell’aver saputo raffigurare mirabilmente il rifiuto assoluto all’ordine costituito, un umorismo che si beffa delle assurdità del mondo.

Il Sogno di una ragazza che volle entrare al Carmelo (1930) è un concatenarsi di apparizioni mostruose in interni borghesi, visioni torbide intrise di erotismo e religiosità delirante. Tra le numerose figure raccapriccianti non mancano minacciosi volatili di specie diverse, cornacchie, piccioni e arpie, come non pensare a quei bambini minacciati da un usignolo in un dipinto di Ernst del '24. In una tavola di questo romanzo-collage vediamo la protagonista all’interno di una strana piccionaia, in realtà se prestiamo più attenzione riconosciamo il cilindro di uno zootropio, l’illustrazione è tratta dalla rivista scientifica “La Nature” (1888) ed è stata reinterpretata dall’artista che ha trasformato il dispositivo ottico in una trappola mortale, riproponendo in un’unica immagine l’esperienza onirica del sognatore, protagonista e allo stesso tempo spettatore del proprio sogno. Osservando attraverso le fessure del cilindro fermo le singole immagini degli uccelli, riprodotte all’interno in successione mentre dispiegano le ali, proviamo a immaginarci l’animale in volo ma la percezione risulta frammentata. Alla duplice visione interna ed esterna si aggiunge una terza esperienza che le salda assieme, innescata dalla spinta con la quale si provoca il movimento rotatorio dello zootropio: “Il battito delle immagini che saltano davanti agli occhi dello spettatore esterno funziona come l’equivalente strutturale del battito delle ali nell’illusione interna. Esse battono in cadenza, cosicché il loro battito genera la forma nello stesso tempo in cui la dissolve, assegnandoci una doppia posizione simultanea di testimoni attivi all’interno della scena e di spettatori passivi all’esterno”. (Rosalind Krauss, The Im/Pulse to See, 1988)

Dall’esterno del dispositivo ottico la pulsazione delle immagini costituisce un curioso spettacolo in cui l’illusione diverte lo spettatore, all’interno invece la situazione è piuttosto caotica, un confuso vortice di ali, non a caso la protagonista di Ernst tenta invano di coprirsi gli occhi, o forse, gli uccelli spinti da una forza centripeta si scagliano sulla malcapitata. L’autore sembra suggerire questo movimento, uno dei colombi è stato catapultato al di fuori dello zootropio e prosegue il volo indisturbato.

Tornando a Hitchcock, credo che la sensazione provata da Melanie all’interno della mansarda, durante uno degli attacchi più cruenti degli uccelli, non sia distante dal sogno di Ernst. Senza azzardare improbabili tesi su una diretta influenza del romanzo-collage sul regista, sono certa che la percezione dello spettatore in questa scena non sia così lontana dal trovarsi scaraventato all’interno e all’esterno dello zootropio simultaneamente. Lo stesso accade durante le riprese claustrofobiche della cabina telefonica, ancora una volta Melanie non ha vie di fuga e i volatili inferociti si schiantano contro i vetri (dello zootropio?) spinti dalla stessa forza centripeta. La visionarietà surrealista non ha limiti, se pensiamo a Tippi Hedren e alla sua passione per i leoni e poi sfogliamo Una settimana di bontà o i sette elementi capitali (1934), sempre di Ernst, i collages sembrano una parodia de Il grande ruggito (1981), film singolare nato da un’idea un po’ folle di Tippi Hedren e del marito Noel Marshall, il produttore de L’esorcista… da cercare!

La sequenza della mansarda, oltre a rammentare il turbinio di un antenato degli apparecchi cinematografici, cela un elemento dell’arredamento della stanza non così insolito ma piuttosto allusivo. Il corpo di Melanie, spinto dal vortice dei pennuti, è schiacciato contro una parete sulla quale è appesa una riproduzione di un quadro di Paul Klee, la cornice è ripetutamente urtata dal suo braccio mentre tenta invano di difendersi. Con ogni probabilità la scelta di quest’opera non nasconde significati arcani e serve solamente ad adornare il set. La stanza in cui avviene l’attacco è quella di Cathy, il libro per bambini a terra e altri dettagli lo confermano, non penso che la presenza del quadro nella camera di una ragazzina nasconda una critica all’infantilismo del disegno di Klee, non mi sembra il luogo opportuno per questo genere di dissertazioni estetiche, oltretutto Hitchcock dimostra il suo apprezzamento per l’artista definendosi anch’esso un pittore astratto e dichiarando che il suo pittore preferito è proprio Klee! Il regista possiede alcune sue opere intitolate Seltsame Jagd (Strana caccia, 1937), di cui esiste una fotografia che lo ritrae davanti al quadro, e Odysseisch (Odissea, 1924). Già nella sequenza dei titoli di testa de La congiura degli innocenti (1955) si può intuire una certa affinità con l’astrattismo di Klee, i suoi paesaggi con uccelli sembrano evocati dal tratto graffiante di Saul Steinberg.

Hitchcock ama l’arte contemporanea e possiede una discreta collezione, tutto ha inizio durante la lavorazione di Io ti salverò (1945), occasione nella quale Salvador Dalì gli dona un disegno, le Chevalier de la mort, e L’oeil, quest’ultimo è utilizzato per la sequenza del sogno. Basta guardare con attenzione l’interno del salotto di Annie, la maestra ne Gli uccelli, per avere un’idea dell’aspetto della sua collezione, lei proviene da San Francisco e ha portato a Bodega Bay quel suo gusto un po’ bohèmienne, alle pareti della stanza sono appese numerose riproduzioni d’arte, troviamo Georges Braque, Piet Mondrian, Amedeo Modigliani, una natura morta alla Cézanne etc…

L’opera di Klee appesa nella cameretta di Cathy non è altro che una scelta puramente ornamentale che segue il gusto del regista, un raffinato gioco di rimbalzi cromatici dove il verde del tailleur di Melanie, macchiato di rosso dal sangue delle ferite, rimanda al paesaggio in cui crescono delle piante in fiore, forse dei cactus. Siamo costretti ad ammettere che c’è poco da andare a scavare, non è necessario cercare significati reconditi. Abbiamo cominciato il discorso parlando dello humour nero e il paragone di Melanie sanguinante con un cactus fiorito rientra in questo genere di umorismo in cui il paradosso nasce dall’urto esplosivo tra due opposti.

Penso che tra Hitchcock e Klee ci siano numerose affinità, avendo in comune una simile concezione della composizione figurativa; il pittore ci viene incontro quando definisce il risultato della ricerca artistica come un quadro di una natura potenziale: “Io amplio il contenuto del quadro dando al quadro stesso un contenuto propriamente non nuovo ma solo raramente visto. È ovvio che anche questi contenuti rimangono nel campo del naturale; e non dei fenomeni naturali, quali li conosce il naturalismo, ma nell’ambito delle possibilità naturali (…) Allora quelle stranezze divengono realtà – realtà dell’arte che rendono l’esistenza un po’ più ampia di quanto comunemente non appaia. Perché esse non riproducono soltanto, con maggiore o minore vivacità, ciò che si è visto, ma rendono percepibili occulte visioni”. (Paul Klee, Confessione creatrice e altri scritti, Milano 2004).

Occulte visioni come l’estenuante attesa di Melanie nel giardino della scuola, alle sue spalle i corvi affollano le sbarre dello jungle gym, Hitchcock realizza la sua personale Macchina cinguettante, un altro omaggio a Klee.