Nel giugno di cento anni fa I topi grigi di Emilio Ghione invasero il labirintico e sotterraneo Cinema Modernissimo di Bologna: oggi, come quel giugno del 1919, ritornano sullo schermo riportati all'antico splendore dal restauro, facendo ancora una volta del Modernissimo la loro “tana” prediletta.

I topi grigi, i terribili abitanti delle fogne (che altro non sono che una banda di ladri guidati dal malvagio Grigione), sembrano essere i perfetti inquilini degli spazi del Modernissimo che si dipana attraverso strettoie, slarghi, scalinate e tunnel sotterranei fino al luogo adibito alla proiezione, accogliente e bellissimo, in cui ogni cinefilo ha il diritto di sentirsi a casa.

L'esperienza è un miracoloso viaggio nel passato, che si riflette nel presente attraverso un percorso di scoperta sensoriale: l'odore acre dell'umidità, assieme a quello dell'intonaco, riempie le narici; nell'udito convoglia il suono meccanico e ipnotico del proiettore che, addolcito dalle note del pianoforte, cadenza il ritmo delle immagini sullo schermo portandoci per mano in un altrove adiacente al reale.

Diventiamo spettatori di 100 anni fa, con gli occhi all'insù, incantati e coinvolti da ciò che vediamo e dal luogo in cui siamo: alla percezione del “non finito” del Cantiere Modernissimo si aggiunge la rivelazione di storie nascoste in ogni suo angolo, accolti come amici fidati a cui svelare i propri segreti; appena spente le luci però, il contesto si annulla e avvolti dalla carezza del buio, la performance dal vivo del musicista si fonde elegantemente con la performance impressa nella pellicola creando preziosi momenti irripetibili.

Gli otto episodi, distribuiti in varie proiezioni giornaliere che coprono l'intera durata del Cinema Ritrovato, fanno il verso al binge watching contemporaneo, che da solitario diventa comunitario e condiviso e che, per questo, porta con sé una più imponente carica emotiva: ridere all'unisono, tenere il fiato sospeso. L'esperienza è democratica, tutti sono coinvolti allo stesso modo.

Il modello narrativo seriale di I topi grigi pone al centro della scena il protagonista Za La Mort (la cui estesa filmografia conta ben sedici produzioni, tre romanzi e vari spettacoli teatrali concepiti tra il 1914 e il 1930) e il suo interprete e creatore Emilio Ghione, il quale, grazie al personaggio dell'apache romantico dal volto scavato e dall'esile figura, raggiunge in quegli stessi anni lo status di “divo”, legandosi indissolubilmente al suo alter-ego cinematografico. 

La sua presenza nella storia è imprescindibile: Za La Mort è colui che tiene i fili di tutte le trame e che riesce nel corso del racconto a mantenere alta l’attenzione alternando sapientemente momenti di stasi naturalistica (l’idilliaco quadro campestre in cui vive con Za La Vie) a sequenze ad alta tensione (come la crudele tortura inflitta dalla banda de I topi grigi) concedendoci di affiancarlo nelle sue avventure grazie ai fugaci ma puntuali sguardi in camera .

Scandito da peripezie, inganni, travestimenti, morti, questo serial è un lungo viaggio di otto episodi che arriva a toccare i cinque continenti (da Parigi, all’America, sino a un’isola tropicale abitata da cannibali) e che, celato sotto il racconto nero e l’esotismo, ci restituisce un’immagine di Za La Mort come vero e proprio giramondo spinto in un’interminabile odissea per ricongiungersi a Za La Vie ostaggio de I topi grigi.

La pellicola, a pellicola, nonostante i  - circa -  1200 metri mancanti,  rivela un fascino antico anche grazie alla chiarezza espressiva che si rende comprensibile a tutti senza l’uso delle parole. E rende noto al pubblico che nel racconto visivo, per capirsi, a volte il parlato è superfluo. La costruzione stilistica delle immagini è inoltre sancita dai chiaroscuri taglienti che restituiscono figure caricaturali e volti infossati: indimenticabile Ghione sullo schermo, emaciato, spigoloso e magnetico. I topi grigi non esisterebbero senza di lui.

Oggi, come quel giugno di cento anni fa, abbiamo la fortuna di poter godere di un emblematico pezzo di storia della cinematografia italiana: seduti tra le sedie del Modernissimo, nascosta isola felice, possiamo concederci il piacere di un viaggio immobile, ciò che solo i più grandi racconti riescono a innescare.