E' calato il sipario su un altro grande vecchio del cinema italiano, è scomparso all'età di 96 anni Franco Zeffirelli. Nato al cinema come scenografo in un allestimento per Visconti, del quale poi diverrà stretto collaboratore e pupillo, insieme a Francesco Rosi come aiuto regista per La terra trema (1948) e Senso (1954) e poi con Pietrangeli per Il sole negli occhi (1953), Zeffirelli girò il suo primo film da regista nel 1957 con la produzione di Carlo Ponti, sceneggiatura di Benvenuti e De Bernardi, Nino Manfredi e Marisa Allasio nel cast. Il film si chiamava Camping e come si evince già dal titolo, si trattava di una pellicola iscritta a pieno titolo nel filone della commedia all'italiana, film pensato ad uso e consumo del pubblico diffuso della cosiddetta cultura popolare.

I due lavori successivi saranno due film per la TV Maria Callas at Covent Garden e poi Per Firenze (1966), il celebre documentario che attraverso il tubo catodico portava l'alluvione di Firenze nelle case di tutti gli italiani, amplificando in modo epocale l'evento e il senso di appartenenza e solidarietà di tutta la penisola con i fiorentini. La voce narrante di Richard Burton introduceva al film con queste parole "Adesso Firenze ha bisogno dell'aiuto di tutti, perché Firenze appartiene al mondo, quindi è anche la mia città". La fiorentinità sarà uno dei dati più caratterizzanti dell'uomo Zeffirelli, che probabilmente per sopperire al vuoto privato di un riconoscimento paterno giunto solo in età adulta (a 19 anni), calco' parecchio sul dato identitario della sua appartenenza alla città d'Arte per antonomasia.

Gli anni '60 furono gli anni della grande rivelazione, verso la fine del decennio si impose all'attenzione internazionale in campo cinematografico grazie alle prime due trasposizioni shakespeariane: La bisbetica domata (1967) e Romeo e Giulietta (1968). In seguito, il suo insistere nell'alveo degli adattamenti di Shakespeare per il cinema diventerà oggetto di scherno benevolo da parte di un frangia della gente di cinema che non condivideva con lui parte politica e ispirazione: Ennio Flaiano aveva ribattezzato il regista con l'appellativo sarcastico di Scespirelli.

Eppure, valutazioni politiche a parte, non possiamo negare che qualcosa di grande resti attaccato al nome del regista e soffermandoci in particolare proprio sulle sue opere shakespeariane vogliamo ricordare che La bisbetica domata nel 1967 fu un film campione di incassi capace di raddoppiare il budget iniziale di 4 milioni di dollari con i soli incassi del film negli USA , raccogliendone poi nel mondo più di 12 milioni. Dunque una versione della commedia che forse sarà spiaciuta a molti scespiriani di stretta osservanza, ma capace di rapire occhi e orecchie di moltissimi spettatori, estasiati dalla bravura e dall'affiatamento della coppia Burton/Taylor.

Solo un anno dopo Zeffirelli replica un analogo successo al box office, grazie al suo Romeo e Giulietta che incasserà 38,9 milioni di dollari in tutto il mondo, aggiudicandosi 4 nomination e due statuette agli Oscar (costumi, Danilo Donati e fotografia, Pasqualino De Santis). Il film ebbe il merito di sfidare il celeberrimo antecedente di George Cukor del 1937 (4 premi Oscar), portando per la prima volta sul grande schermo due attori giovanissimi e coetanei dei protagonisti della tragedia originale: Olivia Hussey e Leonard Whiting avevano rispettivamente 16 e 17 anni quando girarono il film. Tanto che per mostrare il seno di Olivia Hussey in una scena d'amore, Zeffirelli dovette ottenere un permesso speciale dalla censura italiana e in seguito alla stessa attrice protagonista, in un eccesso paradossale di prudenza censoria, fu proibito di entrare in sala ad assistere alla proiezione del film perché ritenuto per adulti.

L'adattamento cinematografico curato da Masolino D'Amico, Franco Brusati e dallo stesso Zeffirelli, resta ancora oggi il film per antonomasia più rappresentativo dell'opera del regista, ma anche della più godibile restituzione filmica dell'opera shakespeariana su vasta scala. Intere generazioni di adolescenti (almeno tre dal '68 agli anni '80) sono cresciute usando il film di Zeffirelli come Bignami per venire a conoscenza dell'opera shakespeariana. Ma affianco a questo dato di un uso puramente scolastico del testo, bisogna considerare quello emotivo di milioni di spettatori che hanno pianto insieme guardando nascere e poi morire l'amore dei due (bellissimi) protagonisti, trafitto dalle lotte familiari in un contesto tragico grazie al quale ogni spettatore ha potuto esorcizzare paure fantasmatiche provenienti dal proprio inconscio.

Romeo e Giulietta è stato spesso accusato dalla critica più intellettuale e "alta" di leziosità, "oleografia sentimentale, banalità melodrammatica"  di rappresentare "cartoline illustrate per l'export" (Morandini), ma questi giudizi, come spesso accade per alcuni grandi "nemici" presi di mira dalla critica italiana, non tenevano conto probabilmente di un altro grande attore dell'apparato cinematografico: il pubblico. E il pubblico ha amato e continua ad amare film come Romeo e Giulietta proprio perché capaci di mettere in scena, non i bassi istinti e il lato più deteriore della nostra umanità, come è delegato di fare a un altro genere popolare e bistrattato del nostro cinema, le commedie, ma una categoria di sentimenti egualmente emarginata dal cinema d'autore, insieme al suo pantone di declinazioni troppo sdolcinate e mielose per assurgere ad arte. Il peccato capitale di Zeffirelli fu dunque quello di mettere in scena con nonchalance e spudoratezza una serie di "buoni sentimenti" fine a sé stessi, che da alcuni vennero visti come esagerazione iperbolica di buonismo perbenistico, ma dal pubblico furono recepiti come possibilità di vivere al cinema senza censure quel sentimentalismo di origine adolescenziale, spesso trascurato dai film per adulti.

A conferma di questa lettura, i successivi film della filmografia zeffirelliana, Fratello sole, sorella Luna (1972), Gesù di Nazaret (1977 per la TV), Il Campione (1979) e Amore senza fine (1981), mentre vengono attaccati dalla critica come "fantasia paramusicale al glucosio" per San Francesco, "polpettone strappalacrime" per il dramma sportivo, riscuotono enorme successo presso ľaudience sia televisiva che cinematografica, tanto che, per esempio, il Gesù di Zeffirelli verrà replicato più e più volte in occasione di Pasqua e Natale dalle reti Rai, diventando un appuntamento fisso e imperdibile per l'intera popolazione cattolica del Paese, insieme alla saga di San Francesco che con un budget di tre milioni di dollari, la collaborazione di Suso Cecchi d'Amico e Lina Wertmuller alla sceneggiatura, il coinvolgimento di Claudio Baglioni nella colonna sonora, resta uno dei più grandi successi del regista fiorentino, che vinse il David di Donatello per la sua regia nel 1972.

E potremmo continuare elencando gli altri grandi successi degli anni '80 e '90, l'Amleto (1990) con Mel Gibson (impeccabile e convincente), Storia di una capinera (1993), Un Tè con Mussolini (1999) con Cher e Judi Dench fino al "periodo lirico" e le trasposizioni di grandi opere come Pagliacci (1982), Cavalleria Rusticana (1982), Traviata (1983), e ancora Don Carlo (1992), Aida (2006) e il suo Callas Forever (2002).

Siamo consapevoli che spesso, a ragione o a torto, sia molto difficile scindere l'opera di un regista dalle sue idee politiche e dal suo modo di stare sulla scena pubblica, con prese di posizione o idee (vedi le varie uscite antiabortiste, o non proprio gay/friendly) spesso difficili da digerire  (soprattutto per una certa cultura intellettuale di altra sponda), ma siamo convinti che quello del regista Zeffirelli, sia un chiaro caso in cui tale scissione vada necessariamente operata, per una forma di onestà intellettuale, ma anche per una sorta di riconoscimento, sempre più urgente nell'ambito di una cultura che vuole insistere ad essere duale (dividendo ciò che è alto da ciò che viene dal basso), di quello che il pubblico ha decretato essere un suo bisogno. La rappresentazione teatrale e fastosa al cinema, l'eleganza formale, il melodramma, le storie d'amore sdolcinate, il gusto figurativo prezioso, la rievocazione sfarzosa, l'esuberanza manieristica e pure un estetismo spinto al limite della oleografia: chiedevano diritto di asilo, e con il maestro l'hanno trovato. Che ci piaccia o no.