In questi tempi difficili, in cui è quasi più ricercato ridere di Godard che con Godard, pare appropriato riflettere su Week-end, a quasi cinquant'anni dalla sua uscita nelle sale, tanto più che essendo “un film perso nel cosmo” e ponendosi perciò come un reperto da (ri)scoprire, diventa un'esortazione alla cinefilia ritrovata. Apocalittico e tragicamente esilarante, è l'ultimo film che Godard affida al circuito ufficiale, prima di un rifiuto quasi totale dell'industria cinematografica che durerà più di un decennio.

Da un punto di vista formale Week-end è espressione di una lotta violenta, nella quale si ricorre ad ogni espediente possibile pur di stroncare i meccanismi proiettivi dello spettatore. Tutto contribuisce allo straniamento: la narrazione, lacerata ma non per questo priva di un filo conduttore, il montaggio, con il consueto inserimento di didascalie e cartelli, il sonoro, votato a disorientare. I virtuosismi tecnici, poi, sono portati all'esasperazione e non fanno altro che denunciare la natura artificiale del mezzo cinema. È quindi inibita una qualsivoglia immedesimazione con i personaggi, sia perché la vicenda dei protagonisti è assediata dalla comparsa di figure storiche, sia perché i personaggi stessi si autodenunciano come tali, al punto che, paradossalmente, le automobili risultano attrici molto più convincenti.

A livello visivo, la violenza si manifesta con il ricorso a immagini prevalentemente sovraesposte e con un uso deciso dei colori: se il verde si può quasi considerare uno sfondo, dominano i consueti colori primari, in particolare il rosso. Ovunque sangue, che in effetti “non è sangue, è rosso”, dunque è finto, eppure appare paradossale il fatto che parte di quel rosso sia ricavato dal sangue di animali veri.

Se intendiamo il paradosso, in generale, come tensione tra due termini inconciliabili per la conquista del senso, proprio questa, ancor più dell'ideologia messa in bocca ai personaggi, sembra la cifra politica di un film “trovato tra i rottami” ma pieno, al suo interno, di rottami, che denuncia la società dello spettacolo con immagini spettacolari, in cui si cerca ad ogni costo il collasso tra dentro e fuori, realtà e rappresentazione o addirittura tra mangiare ed essere mangiati. Con Week-end è più che mai chiaro che Godard ha politicizzato quella tendenza al divertissement che ha caratterizzato il suo cinema sin dagli esordi, tanto che la sovversione del senso non è più un semplice esercizio di stile, ma un sistematico ribaltamento del senso comune, ossia la sovversione dell'ordine costituito.

Ecco allora che un gioco di parole si è ormai trasformato in una guerriglia di parole e il conflitto insolvibile generato da un paradosso è un chiaro invito alla rivoluzione permanente.