“Sarà il mio ultimo lungometraggio” ha detto Jan Švankmajer dando inizio al crowdfunding che gli ha permesso di portare a termine il film. Fra le cause addotte la bella età di 84 anni, l'impegno a tempo pieno richiesto dalla sua ricetta - surreale miscela di animazione che lo ha imposto come pioniere della moderna stop motion - e la sempre maggiore difficoltà a produrre e distribuire un cinema tanto di nicchia. Ciò premesso non è una coincidenza a legare l'annunciato "pensionamento" e un certo carattere autoriflessivo del film. Andrew Johnston del New York Times aveva la sua parte di ragione quando scrisse che “malgrado i riferimenti culturali e scientifici c'è nel suo immaginario un'accessibilità radicata nel linguaggio comune dell'inconscio, che lo rende egualmente gratificante per gli ipercolti e per chi semplicemente apprezza la stimolazione visiva”. L'aveva lui stesso quando teorizzò l'atemporalità del cinema di animazione, destinato a non invecchiare mai mentre gli altri film si riducono poco a poco a reperti della propria epoca. Ma Švankmajer sa anche, forse a malincuore, di rivolgersi a un'élite. E la lascia con Insects da metabolizzare.

Una sgangheratissima compagnia teatrale sta preparando Scene dalla vita degli insetti (1921) dei fratelli Karel e Josef Čapek, anche nota come Il Dramma-insetto o Il mondo in cui viviamo. Ma non prima che il regista abbia recitato in macchina una vera e propria prefazione ("lo si fa nei libri, perchè non in un film?") che come tutte le prefazioni vuole dar lumi su come leggere l'opera. Inquadra con sense of houmor l'epoca dei due drammaturghi cecoslovacchi, “quando Adolf Hitler stava seduto in un bar di Monaco a potare il suo albero genealogico da tutti i parenti ebrei”. Insetti aveva inizialmente un finale cupo, in linea con un'era di tali e tante ombre, ma per paura che l'eccessivo pessimismo attirasse loro gli strali della critica lo cambiarono in happy ending inaugurando la tradizione di fifa blu che avrebbe contraddistinto la cultura del paese di lì in poi. Un attimo dopo siamo avvertiti che il film sarà puro istinto, senza scopi morali e prono al solo fine di tutta l'arte: l'evasione, la fuga.

Sul palco il regista-attore "Mr. Cricket" (Jaromìr Dulava) litiga con i suoi interpreti dai buffi costumi antennuti. Non è soddisfatto perchè il pubblico non se la berrà, il pubblico vuole che sembri vero. È curioso perchè se c'è una cosa di cui Insects sembra voler disperatamente fare a meno è la verosimiglianza in tutti i sensi, in specie quella coerenza cinematografica che consentirebbe istintivamente anche a bimbi e illetterati la sospensione dell'incredulità: Svela a intervalli regolari il mezzo cinematografico con uno spirito dissacratorio non lontano da quello del carrello all'indietro che chiude I tre volti della paura (1963) di Mario Bava. Ma la prospettiva è radicalmente diversa: là il compiacimento dell'artigiano iconoclasta che mostra le sagome di cartone la cui ombra ci aveva terrorizzati, qua la "costruzione sulla de-costruzione" di una nuova e diversa coerenza filmica.

Se lo spettatore di Švankmajer non è un critico, si tratta perlomeno di un cinefilo del terzo millennio, capace di decodificare il suo linguaggio e metterlo in relazione storica con antesignani e discendenti. Il "film-insetto" reagisce mimetizzandosi da quel che non è, meta-cinema nel senso stretto del termine, mentre è invece una forma deviante di narrazione pensata - come ogni altra - per interpellare un determinato (il suo) target di pubblico. Un pubblico che sa a memoria Il pasto nudo, ha visto Bug, forse conosce perfino King of the Ants, e in cui la coscienza del mezzo è un orizzonte acquisito. Così paradossalmente è proprio questa a farsi garante e filtro indispensabile del processo di identificazione a scatole cinesi innescato dalle divagazioni surreali del regista. Matrioska di mille allucinati gradi intermedi fra gli insetti stecchiti in una scatola e la platea comodamente seduta in sala, operazione tanto più legittima in quanto avviene nell'orbita di un cinema già in partenza teatro di marionette, scacchiera, presepio. Non che non parli del mondo, anzi (e con che ambizione!). Ma in un modo o nell'altro, come promesso, lascia col sorriso.