In occasione del centenario felliniano che tra le molte iniziative prevede anche l'uscita in sala della versione restaurata dalla Cineteca di La dolce vita (che a sua volta compie 60 anni dall'uscita), proponiamo in anteprima un assaggio della ricerca condotta da Barbara Corsi che, a partire dai documenti originali del fondo Giuseppe Amato, produttore del film insieme ad Angelo Rizzoli, ha ricostruito l'avventurosa storia della realizzazione del film.

Fine anni Cinquanta: l’Italia è in pieno boom economico. I consumi crescono mentre il cinema italiano entra nel periodo del suo maggior splendore. La dolce vita è il simbolo di questa frenesia: un brulicante affresco della capitale e dell’Italia, ispirato a fatti di cronaca. Quando nel 1958 Fellini comincia a sviluppare il progetto, è sotto contratto con Dino De Laurentiis, che non lo approva. Il produttore non è convinto della sceneggiatura e vorrebbe Paul Newman nel ruolo di protagonista, ma per il regista Marcello Mastroianni è una condizione irrinunciabile.

Rotto l’accordo con De Laurentiis, il progetto viene esaminato da altri produttori, fra i quali Goffredo Lombardo e Franco Cristaldi. Tutti lo giudicano troppo rischioso per l’alto costo, l’audacia dei contenuti e la struttura narrativa non lineare. Il produttore Giuseppe Amato, che ha l’ufficio all’Hotel Excelsior in via Veneto, vi riconosce invece la verità di quell’ambiente che ruota intorno alla strada simbolo della mondanità romana di cui viene ricostruita una perfetta copia negli studi di Cinecittà. È lui a convincere il socio, l’editore Angelo Rizzoli, a produrre La dolce vita con la loro compagnia, la Riama. L’industriale Rizzoli, proprietario dell’omonimo gruppo editoriale, è il principale finanziatore oltre che distributore del film, attraverso la Cineriz. Supervisiona dall’alto. Dalla pre-produzione fino all’uscita, l’intera lavorazione del film è terreno di scontro. Amato si accorge molto presto di quanto sia difficile esercitare il controllo sulle scelte artistiche e di budget avendo a che fare con Fellini. Rizzoli si ritaglia il ruolo di mediatore fra i due, mentre in privato richiama il socio a una più stretta osservanza dei patti.

L’uscita di La dolce vita slitta per due volte, a causa del lungo lavoro di montaggio e del supplemento di riprese concesso da Amato che ha compreso il carattere eccezionale dell’opera. La lunghezza finale sarà di 5.300 m., poi ridotti a 4.900 (pari a 178’); una dimensione ‘monstre’ che spaventa Rizzoli ma non Amato: “Per quanto riguarda il film, so cos’è… l’ho sempre saputo”. (Amato a Fellini, 24 ottobre 1959). Poiché La dolce vita è un film ad alto budget dai contenuti rischiosi, la campagna promozionale inizia molto in anticipo. L’uscita del film viene preparata come un grande evento. I tanti articoli e gli ampi servizi fotografici pubblicati da riviste e quotidiani, puntano ad alimentare la curiosità del pubblico. Quando si gira in esterni, la folla accorre a seguire le riprese del film di cui tutti parlano. I rotocalchi di Rizzoli pubblicano reportage dal set e articoli sugli attori, in particolare su Anita Ekberg. La sua immagine diventa un potente elemento di pubblicità per il film.

La distribuzione Cineriz, su consiglio di Amato, pianifica l’uscita contemporanea in sessanta città; per avere il film, gli esercenti cinematografici devono impegnarsi a garantire una lunga programmazione, con spettacoli a orario fisso e prezzi del biglietto maggiorati. È una modalità di ‘uscita a tappeto’ molto innovativa che favorisce il veloce rientro dei capitali investiti.

La produzione di La dolce vita si chiude con uno sforamento di budget clamoroso – 877 milioni di lire spesi invece di 666 – ma gli alti costi vengono velocemente recuperati grazie allo straordinario successo di pubblico che consente al film di battere ogni record d’incasso. Ma il rapporto tra Amato e Rizzoli, cominciato nel 1938, si è spezzato sotto i colpi dell'estenuante battaglia ingaggiata dai due per realizzare il capolavoro felliniano. A meno di due anni dal lancio del film, avvenuto il 3 febbraio 1960, l’accordo fra i soci della Riama è ormai compromesso e la società si scioglie nel dicembre 1961. Amato riassume così la sua collaborazione con Rizzoli: “Io faccio il cinematografo per professione e i miei soci lo fanno per divertimento: le due cose insieme non possono andare. Per questa ragione finì la prima volta, per questa stessa ragione finirà la seconda volta… Noi siamo nati per ricominciare sempre da capo”.

Il saggio completo fa parte di un capitolo curato da Barbara Corsi e Marina Nicoli dal titolo Fellini and His Producers. Strange Bedfellows, di prossima pubblicazione in: Frank Burke, Marguerite Waller and Marita Gubareva (eds.), A Companion to Federico Fellini, Wiley-Blackwell, Usa, 2020.

Nella foto:  La morale della favola, vignetta di Bruno Del Bosco, 'Lo Specchio', 28 febbraio 1960, Fondo Taddei, Cineteca di Bologna.