“Ma l’animale che mi porto dentro /Non mi fa vivere felice mai / Si prende tutto anche il caffè

Mi rende schiavo delle mie passioni / E non si arrende mai e non sa attendere

E l'animale che mi porto dentro vuole te”.

Prende le mosse da questi versi della canzone di Franco Battiato il secondo lungometraggio di Katharina Mückstein (regista austriaca classe 1980), iscrivendosi dunque nella diffusa sotto-categoria di titoli di canzoni che diventano film (cfr. Bocca di Rosa, Notte prima degli esami, Mio fratello è figlio unico, Albakiara etc etc). Certo in questo caso si potrebbe dire che la titolazione del brano musicale viene semplicemente presa in prestito (un prestito curioso data la sua internazionalità Italia/Austria) e incorniciata tra le pieghe di una trama cinematografica che si sviluppa autonomamente, anche se, in effetti, l’intreccio de L’animale procede in maniera così spedita che pare quasi una forzatura, sul finale, il suo sfociare in una specie di mini-videoclip della canzone. Ma andiamo per ordine.

Mati (Sophie Stockinger) è una tomboy diciassettenne, appassionata di motocross. Passa il tempo con una baby gang di soli maschi a crossare in una cava di pietra ai margini della città, a calarsi di ketamine in discoteca o a bullizzare le coetanee della zona. Le cose cambiano quando il migliore amico le chiede di diventare la sua ragazza. La reazione negativa di Mati davanti a questa proposta amorosa ci dice tanto di lei e della sua incertezza identitaria. Contemporaneamente Mati socializza con Carla (Julia Franz Richter), una delle ragazze perseguitate dalla gang, e la loro amicizia si tinge di un vago alone sessuale. La protagonista è costretta a mettersi in discussione e a fare i conti con i propri desideri profondi. E parallelamente lo stesso travagliato percorso esistenziale è solcato dal padre della ragazza.

Sullo sfondo di una vita di provincia fatta di riti (la scuola, il lavoro), piccole frustrazioni quotidiane (la famiglia come gabbia asfissiante che impedisce l’espressione delle proprie aspirazioni individuali), e sogni infranti (la casa in costruzione che non si completa, la figlia che si rifiuta di seguire le orme professionali della madre), Mati, giovane centauro donna, cerca la sua identità, più per negazione che per affermazione del suo sé. Non si sente a suo agio nei panni femminili scelti dalla madre per il giorno del diploma, si rifiuta di portare i capelli sciolti sulle spalle, non condivide il sogno materno di diventare una veterinaria, non vuole un fidanzato. L’animale che c’è in lei non la fa vivere felice mai.

E lo stesso tormento sembrano vivere tutti i protagonisti del film, in primis il padre di Mati, Paul che, parallelamente alle esplorazioni adolescenziali della figlia, mette in discussione se stesso, tenta di fare i conti con la propria celata omosessualità. Nonostante quest’ultima scelta di sceneggiatura (il padre gay con la figlia “tendenzialmente” lesbica) possa apparire alquanto facilona e controproducente per un discorso politically correct sulla emancipazione sociale dei gender,

L’animale è un film che aspira ad essere caleidoscopio delle possibili relazioni tra i sessi e dei conseguenti intrecci emozionali ed affettivi. Purtroppo finisce per deludere lo spettatore quando passa repentinamente e senza un’apparente coerenza dello stile narrativo, da bozzetto della difficile evoluzione del sé in periferia, a breve clippettina pop che mima le parole della canzone di Battiato, con un effetto straniante ed alienato rispetto al resto del testo filmico. Dal punto di vista fotografico sono sicuramente apprezzabili le scene motociclistiche girate nella cava di pietra, peccato che non trovino nel resto del film altrettanta corrispondenza di limpida visione e certezza registica.

Infine un ultimo appunto sull’impronta animalier che scorre sottotraccia per tutta l’opera: mandrie di vacche, gatti spiritati (dai cui occhi come fari proiettori si dirama nella notte il “videoclip” de L’animale), passerotti scaraventati dal loro nido al vetro di una finestra (proprio nell'istante di un principio di rapporto sessuale tra marito/gay e moglie)... sembrano appartenere ad un universo simbolico un po’ immaturo che non convince troppo in questa sua forzata esposizione e non funziona nemmeno come alter ego metaforico dell’animale passionale che è nel titolo, ma non si esprime mai del tutto nel film.