Considerato elemento fondamentale per lo sviluppo della cinematografia indipendente, il formato ridotto ha trovato in figure come quella di Margaret Tait, Martha Colburn e Maria Lassnig, uno sviluppo parallelo e complementare ad altre pratiche e linguaggi quali quello della poesia, della musica e della pittura, dimostrando nuove possibilità e sensibilità del mezzo.

Costo ridotto e praticità di trasporto hanno fatto del formato ridotto lo strumento prediletto di gran parte del cinema indipendente, amatoriale e sperimentale. Impiegati spesso oggi solo per registrare le immagini prima della digitalizzazione per il montaggio e la distribuzione, l’utilizzo dei formati analogici a passo ridotto, in particolare del 16mm, sembra rivelare le proprie possibilità e potenzialità soprattutto nelle pellicole realizzate da artiste. È in questo contesto che quasi necessario appare il tributo di questa edizione del Cinema Ritrovato a figure come Margaret Tait, Maria Lassnig e Martha Colburn. Appartenenti a generazioni diverse, le tre sono accomunate dall’utilizzo della pellicola di piccolo formato come ulteriore linguaggio dedito all’esplorazione di temi ed estetiche affrontate attraverso altri mezzi.

Proviene ad esempio dalla poesia la Tait, della quale proprio quest’anno si celebra il centenario della nascita. Riconosciuta come la prima donna a dirigere un lungometraggio, l’artista scozzese riflette nei  corti la propria concezione, vicina a quella della poesia di Lorca, dell’innata capacità lirica ed estetica della quotidianità. Ed ecco allora che immagini e suoni dell’ambiente circostante diventano non elemento di disturbo, ma elementi necessari alla costruzione dell’immagine. Esplorando e rivisitando i paesaggi, mai inabitati, e registrando suoni e persone famigliari, il cinema della Tait sembra unire il Neorealismo italiano al pragmatismo scozzese. Come la poesia il cinema, e l’arte in generale, diventa celebrazione di valori e significati. Manifesto di tale concezione sembra essere Aerial (GB/1974) nato dalla sua formazione come medico. Nella pellicola elementi naturali si alternano, creando collegamenti che riportano alla mente le sperimentazioni di Maya Deren, accompagnati da una musica al pianoforte e suoni naturali. Insieme a Three Portrait Sketches (Italia/GB 1951), una della prime sperimentazioni risalente al periodo di studi al Centro Sperimentale di Roma, il cortometraggio è la perfetta rappresentazione della concezione di Jonas Mekas del poem cinema, di quei film dai soggetti piccoli, che più che una narrazione restituiscono allo spettatore una sensazione, un atteggiamento. Di matrice puramente sperimentale è invece Calypso (GB/1955) nel quale è evidente il richiamo al Cinéma Pur di René Clair. Creata a partire dalle suggestioni musicali di Calypso, il film è un’animazione realizzata a mano direttamente su pellicola nella quale due figure danzanti, fatte di colore puro, si uniscono in una danza.

L’arte diventa autocoscienza corporea nelle pellicole di Maria Lassnig. La pittrice austriaca utilizza il 16mm come ulteriore supporto alla rappresentazione non tanto della fisicità quanto delle sensazioni corporee. Autrice di dipinti dal cromatismo lieve, senza ombre né chiaroscuro, la Lassnig mette in scena, o meglio in immagine, un corpo deformato dalle emozioni. È in questo profondamente vicina all’Hundsgruppe autriaco di Arnulf Rainer e al concetto dell’osservazione fisica del corpo attraverso la nozione di “consapevolezza della pittura” che l’autrice esplora attraverso un linguaggio ironico. Self Portrait (Austria/USA 1971) può essere sicuramente considerato la trasposizione filmica di tale atteggiamento. Utilizzando i propri disegni realistici, surrealisti o astratti, la Lassnig rappresenta atteggiamenti, paure, pensieri e parti di un racconto, partendo da un autoritratto realizzato davanti allo specchio senza l’utilizzo della fotografia. I colori dei suoi dipinti si uniscono all’estetica del fumetto e ad un collage che richiama l’immaginario delle riviste popolari in Couples (Austria/USA 1972) con il quale riflette sui rapporti di potere uomo/donna e sul sistema patriarcale.

Collage, pittura, stop motion, pupazzi e found footage si mescolano nei lavori di Martha Colburn, filmaker e artista americana. Unendo cultura pop all’immaginario politico, la Colburn porta sul 16mm un’estetica contemporaneamente fantastica, pittorica e punk rock. Il suo primo approccio con la pellicola risale al 1994 e da allora la Colburn ha affrontato temi che passano dal degrado ambientale alla vita sessuale degli animali passando per quelli della droga, la violenza e la guerra. Il linguaggio cinematografico risulta in realtà, nella sua poetica, puramente strumentale e secondario all’immagine. E’ in questo contesto che Cats amore (USA/2000), dedicato interamente all’amore per i felini, assume una profondità estetica e sperimentale inaspettate. La manipolazione dell’immagine e le sue combinazioni sono sempre segni di un’interpretazione della realtà dalla quale, attraverso un lungo lavoro di osservazione e sintesi, la Colburn estrae appunti visivi che sono tradotti sulla pellicola con un atteggiamento che potrebbe essere definito “surrealismo satirico”, dai colori brillanti che derivano dalla zine culture e dall’immaginario underground. Nel collage orgiastico di What’s On! (USA/1997) i Monti Python si mescolano e combinano con la pittura di Bosch in uno stop motion colorato a mano, mentre in Evil of Dracula (USA/1997) gli spot pubblicitari degli anni ’60 e ’70 con protagonisti dei vampiri, portano sul piccolo formato le prime sperimentazioni visive di MTV.

Il lavoro cinematografico di queste tre artiste non può essere considerato dimostrazione certa di un legame tra utilizzo del 16mm e donne, ma mette sicuramente in luce la capacità di un utilizzo di una qualità non tecnologica per la creazione di un livello personale e intimo con il quale indagare la realtà e la creatività.