Potato Dreams of America (2021) aggiunge una doppia prospettiva, queer e cinefila, alla narrazione dell’immigrazione verso il sogno americano. Culturale ancora prima che fisico, il viaggio di Vassili, soprannominato Potato, e della madre Lena verso l’America inizia con il più classico dei simboli: la Statua della Libertà, qui presa da Una donna in carriera di Mike Nichols, immagine sfocata sul loro vecchio televisore trasmessa da un canale pirata nell’Unione Sovietica della Perestrojka.

La televisione e i film americani che vengono proiettati da questo canale non ufficiale diventano per madre e figlio la via di fuga da un contesto povero e ostile, che soffoca i loro sogni di emancipazione e libertà. Quando Lena riuscirà a trovare un marito per corrispondenza, l’attuale migrazione negli Stati Uniti si rivelerà certamente meno idealizzata del previsto e piena di colpi di scena. Ma, soprattutto, il viaggio di Potato è anche una progressiva scoperta e verbalizzazione della sua omosessualità, dalla potenziale repressione sovietica all’emancipazione, anche sessuale, che il ragazzo raggiungerà, non senza difficoltà, in America.

Basato in parte sull’infanzia dello stesso regista, Wes Hurley, Potato Dreams of America adotta, fin dalla prima scena in cui Potato bambino “inquadra” i suoi genitori con un obiettivo costruito dalle sue dita, uno stile trasognato e costantemente meta-cinematografico, in cui tutto è rappresentazione e citazione. Le vicende del film sono continuamente filtrate attraverso riferimenti alla cultura pop e queer: dalla citazione di apertura di Quentin Crisp che si dichiara americano fin da quando sua madre l’ha portato al cinema al catalogo di maschi americani disponibili al matrimonio che entra in scena come i Village People, da Freddy Mercury che gareggia iconicamente con Lenin durante una foto di classe a uno statuario Jean-Claude Van Damme che provoca il primo orgasmo a Potato. Significativamente, il film termina inquadrando Wes Hurley e la sua troupe mentre hanno appena finito di girare la scena all’aeroporto, punto di partenza per il viaggio fisico di Potato. Il bambino che inquadrava i genitori con una macchina da presa fatta con quattro dita è diventato un vero regista.

“È come un film americano” è sicuramente la frase più ripetuta della prima metà del film che si svolge prevalentemente nel piccolo appartamento di Lena e Potato, ricostruito come se lo aspetta un pubblico americano da sitcom e con i due protagonisti che parlano un perfetto inglese americano. Il film di riferimento per questa prima parte, oltre al già citato Una donna in carriera, è sicuramente Pretty Woman, di cui Lena e le sue amiche parlano ad un certo punto. Come le protagoniste dei film di Nichols e Marshall, così Lena sogna una vita diversa. Se il viaggio significa spaesamento per gli immigrati, lo è certamente anche per gli spettatori: all’arrivo negli Stati Uniti, cambiano gli attori che interpretano Lena e Potato, che da bambino diventa adolescente, e il loro inglese è pesantemente condizionato da un accento russo.

In accordo con lo sviluppo della coscienza queer di Potato, il film di riferimento per questa seconda metà è The Living End di Gregg Araki, capostipite del New Queer Cinema, che Vassili noleggia un centinaio di volte dalla locale videoteca. In America, Potato e Lena affronteranno mentalità tanto ristrette quanto i dogmi sovietici da cui sono scappati e comportamenti caratterizzati da razzismo, riduzione deli immigrati a stereotipi, omofobia e maschilismo. Dalla favola hollywoodiana a quella queer, senza, tuttavia, la rabbia di Araki e i suoi personaggi marginali, quasi a sostenere che la stessa cultura queer è diventata mainstream, permeando anche i ruoli della famiglia tradizionale e, quindi, annullandoli.