“La rinascita del cinema cinese”, così è stata chiamata la rassegna sulla produzione cinese fra il 1941 e il 1951, ed è precisamente da una rinascita che parte San Mao liulang ji. Il film infatti è tratto dalle storie a fumetti di un personaggio tuttora piuttosto popolare in Cina, il piccolo Sanmao (che significa “tre capelli”), nato nel 1935 per mano di Zhang Leping. L’opera prima dei registi Gong Yan e Ming Zhao è anche il primo di una lunga serie di adattamenti del famoso manhua (fumetto cinese), arrivata fino al 2006, anno in cui sono stati dedicati al personaggio un videogioco e una miniserie d’animazione. La rinascita messa in scena dalla coppia esordiente sta nella riattualizzazione del contesto entro il quale si muove il giovane eroe.

Nelle sue prime apparizioni, il bambino con tre capelli era un vagabondo senza famiglia, costretto alla fame per la carestia che colpiva il paese nella seconda metà degli anni ‘30, a cui si aggiungerà la guerra contro il Giappone dal 1937, anno in cui gli invasori conquistarono Pechino. Nel film invece ci troviamo nel 1949, dove, al posto di questo conflitto, troviamo il lascito della seconda guerra mondiale e della guerra civile. In questo contesto si ambienta una commedia amara, la lotta per la sopravvivenza di un bambino che non può non attirare le simpatie del pubblico. Saomao non parla molto, ma quando lo fa è sempre con tono irresistibilmente irriverente, sfida a viso scoperto la società che lo opprime, che vorrebbe vederlo morto o criminale. La scarsità dei mezzi di cui dispone è infatti inversamente proporzionale al suo senso etico, che lo porta a patire il freddo e la fame piuttosto che rubare. Riesce ad instaurare un sincero rapporto di complicità con gli altri bambini nelle sue stesse condizioni, fino a porsi in certe situazioni come leader del gruppo, come nella divertentissima sequenza in cui organizza un corteo per deridere la manifestazione della “festa dell’infanzia”.

Nella prima parte vediamo un Saomao malinconico, viene posta attenzione a tutto ciò che gli è negato, come “il paradiso”, un parco giochi dal nome simbolico a cui non è ammesso, o la cura famigliare, l’istruzione. Successivamente all’incontro con gli altri bambini appare più sfacciato, giocoso contro i suoi nemici, forse perché capisce che la derisione è l’unica arma che possegga. L’ideologia apertamente comunista è evidentissima nel finale, dove l’happy ending non è affidato alla soluzione dei problemi economici del ragazzo (al contrario, rifiuterà di vivere nel lusso!), ma all’arrivo di Mao Zedong, alla speranza, quindi, in una maggiore attenzione istituzionale ai poveri, nella rinascita della Cina.

A metà fra Marx e Charlot, Saomao è un personaggio incredibile, che impreziosisce un film “popolare” nell’accezione più nobile del termine, una perla del cinema orientale da (ri)scoprire.