Quando nel marzo 2019 la HBO trasmise Leaving Neverland, l’effetto che ebbe su pubblico e critica fu irrimediabilmente divisivo. Il documentario di Dan Reed, d’altro canto, si concentrava sul racconto degli abusi sessuali che Wade Robson e James Safechuck avrebbero subito da Michael Jackson quand’erano bambini. Esclusivamente, senza contraddittorio. Un lavoro “schierato”, senza dubbio potente e convincente, ma che faceva pericolosamente leva sull’emotività di un racconto unilaterale. Nel turbinio di una (ulteriore) revisione mediatica che danzava in sincrono con la difesa tecnica dei fan-atici della popstar americana, Leaving Neverland restituiva crude e dettagliatissime confessioni, fallendo inevitabilmente su più fronti. Le riflessioni lasciarono ben presto il posto ad articoli clickbait, morbosità varie, atti di censura controbilanciati da un’impennata di vendite degli album di Jacko. E a urlare più forte furono le feroci lotte tra curve opposte.

Lotte dialettiche analoghe hanno seguito, in questi giorni, l’uscita a sorpresa di SanPa - Luci e tenebre di San Patrignano, ma con una sostanziale differenza. La docu-serie di Netflix sulla comunità di recupero fondata da Vincenzo Muccioli nel 1978 è a tutti gli effetti un’analisi comparativa delle fonti. Lo spirito filologico della ricostruzione degli eventi, l’assenza di una voce narrante che indirizzi con decisione lo spettatore nella visione, il montaggio che organizza con cura chirurgica l’ingente materiale (51 le fonti d’archivio, più 180 ore di interviste dalle quali attingere) sono elementi che non permettono semplificazioni interpretative di sorta. Neanche all’interno del conflitto di opinione. È quindi appropriato affermare che SanPa raccolga in modo costruttivo e inedito l’eredità di uno scontro nazionale e universale.

Diretta da Cosima Spender e scritta da Gianluca Neri, Carlo Giuseppe Gabardini e Paolo Bernadelli, SanPa scandisce cronologicamente la storia di San Patrignano in cinque capitoli (Nascita, Crescita, Fama, Declino, Caduta) che rispecchiano meticolosamente quasi trent’anni della storia d’Italia. Vita, morte e “miracoli” di Vincenzo Muccioli, l’uomo dal pugno di ferro che sfidò (e infine coinvolse) lo Stato per sottrarre i tossicodipendenti alle “catene della droga”. Un ritratto sociale e politico che viene composto dallo stesso Muccioli, che ci parla attraverso vecchi filmati, e progressivamente dagli eredi, dagli ex ospiti della comunità, dai “soldati” e dai cronisti della storia di San Patrignano. Molto più di una semplice biografia.

Col metodo documentario classico della testimonianza rilasciata in favor di camera — che oltre alle parole cattura gesti, sguardi, rughe di espressione, vibrazioni della voce — si lasciano parlare le immagini, come se i pro e i contro dell’operazione dialogassero in modo alternato, dissonante ma equilibrato. Equilibrato, sì, nei termini di una discussione che non può risolversi in una visione manichea delle cose.

Una delle critiche mosse a SanPa è che si occupi solo delle “tenebre” e mai delle “luci”. Ma ciò che rende questo prodotto italiano unico nella sua rigorosità non è l’intento di edificare o smontare convinzioni, bensì celebrare l’approfondimento in modo incalzante, quasi sfibrante. Intendiamoci: se le tenebre emergono è per un meccanismo basilare. Una foto è una foto, una registrazione è una registrazione, un morto è un morto. E sebbene queste cose compiano — come da copione — giri brevi e lunghi per sostenere il “bene” o il “male” a nostro piacimento, in SanPa vengono completamente affidate allo spettatore, tramite un atto fiduciario che lo costringe finalmente a riflettere. C’è Red Ronnie, dedito anima e corpo all’esaltazione del mito di Muccioli, ci sono i familiari delle vittime di San Patrignano, col proprio lancinante e inesauribile dolore. Ma c’è anche Fabio Cantelli, personaggio chiave per comprendere le stratificazioni del problema della dipendenza e della sua percezione individuale e sociale.

Se il sottotitolo inglese del documentario è Sins of the Savior, si potrebbe obiettare che i peccati mostrati sullo schermo siano in realtà i peccati delle istituzioni, complici di aver addormentato violentemente i sogni dei giovani negli anni di piombo e incapaci, ancora oggi, di affrontare un discorso serio e approfondito sulla droga. Muccioli non è né il primo né l’ultimo dei carnefici, piuttosto un sintomo. È il modello di riferimento di una società patriarcale, la personalità forte che fa prevalere lo schiaffo tradizionalista al metodo scientifico. Nella San Patrignano di Muccioli il reintegro di un uomo nella società avveniva contro il metodo, laddove la rimozione forzata della dipendenza prevaleva al supporto medico e psicologico, mentre il mondo “fuori” vedeva nei tossicodipendenti il degrado da nascondere con vergogna e disgusto sotto il tappeto.

Cos’è legittimo imporre a un’altra persona “a fin di bene”? Cosa è legittimo compiere per salvare delle vite? Sono queste le domande che gli autori di SanPa veicolano attraverso questo ambizioso progetto filmico. Ed è importante considerarla, questa docu-serie, oltre alle prevedibili polemiche. Perché SanPa si inserisce nella schiera dei documentari che oltre a una visione irrimediabilmente personale degli eventi di-spiega il senso dei confini della “memoria collettiva”. Un enorme compromesso, costantemente attaccato e difeso, che è giusto analizzare con nuovi e diversi strumenti. Per non fermarsi alla superficie, mai.