Da sempre affascinata dal tema della flânerie, di cui il vagabondaggio rappresenta certo una forma radicale oltre che più ambigua, Agnès Varda costruisce un personaggio sfuggente, Mona, ispirato a ragazze realmente incontrate all'inizio degli anni Ottanta, che avevano scelto di vivere la propria libertà in solitudine, sulla strada. Ne deriva un film che, come scrive Serge Daney, è “lacerato tra la voglia di comprendere (tutto) e la voglia di far (solo) vedere”. Nonostante l'apparente spontaneità delle riprese, sostenuta dalla fotografia disadorna di Patrick Blossier, Senza tetto né legge è un film estremamente artefatto, in cui la padronanza stilistica si cela in un voluto distacco documentaristico e in uno sguardo a tratti addirittura impersonale, come quando la macchina da presa registra gli spostamenti di Mona, assecondandola in un percorso controcorrente, ossia da destra verso sinistra.

La protagonista è a metà strada tra un caso da studiare e una creatura mitologica, immortale, se non nella realtà, almeno nella psiche dei testimoni, che, accontentandosi di una libertà nella legge, ne scoprono i limiti utilizzando Mona come uno specchio. In realtà non sono tanto le leggi vere e proprie ad essere messe in discussione, quanto piuttosto tutte quelle leggi non scritte che costituiscono i condizionamenti sociali e culturali.

Eppure, contrariamente a quanto avviene nella narrazione tradizionale, l'arrivo del nomade non determina alcun tipo di cambiamento: in Senza tetto né legge 'l'altro' non ha una visione alternativa da proporre, poiché qualsiasi ideale condiviso porterebbe soltanto alla riformulazione del sistema, che la protagonista contesta in quanto strutturante. Da un lato i testimoni respingono Mona come elemento di disturbo, dall'altro è Mona stessa che non si lascia comprendere, visto che non vuole essere accolta, né socialmente né emotivamente. La sua scelta di libertà non risponde tanto alla volontà di perseguire uno scopo (se non quello di procedere in direzione contraria, persino contro la vita), quanto all'esigenza di affermare la propria individualità con la negazione di qualsiasi condizionamento. Tuttavia, il rifiuto delle leggi umane non può estendersi automaticamente alle leggi naturali, dato che in natura chiunque rinneghi il principio dell'adattamento e dunque dell'autoconservazione, finisce per diventare una vittima della selezione naturale. Resta il dubbio che sia la società stessa, con la sua struttura consolidata, a funzionare secondo i medesimi principi darwinisti.