Il valore della componente musicale nel cinema di Miloš Forman risulta fondamentale fin dal suo primo lungometraggio Konkurs, uno dei più validi sguardi sulla generazione coetanea del regista, riflessione dolce-amara delle aspirazioni di una gioventù che non nasconde la propria contrapposizione ai costumi dei padri, non tanto per scelta ideologica, quanto piuttosto per natura. Un’opposizione spontanea che per la prima volta negli anni Sessanta trova, in tutto il mondo occidentale, la via di esprimersi collettivamente attraverso una cultura “altra” che rompe con il passato, risultando per questo incomprensibile e inaccettabile alla maggioranza degli adulti.

Veicolo principale di tale emancipazione è proprio la musica, il rock ‘n’ roll statunitense con il suo specifico immaginario di riferimento, trasposto in Europa e più o meno adattato ai contesti sociali e culturali dei vari Paesi. Il rock diviene così il primo fenomeno di massa del secondo Novecento, espressione di una fascinosa e ben definita visione del mondo difficilmente respinta da giovani vessati dai duri anni della guerra, che trovano in esso una di fuga ideale da una realtà diversa e distante dai loro sogni.

È questo il filo conduttore del primo episodio del film, Se non ci fosse musica, in cui due ragazzi componenti di bande locali impegnate a prepararsi per il festival Kmochuv Kolin, entrambi poco propensi allo spirito della tradizione delle orchestre amatoriali, disertano le prove per assistere a una gara di motociclismo, finendo cacciati dai rispettivi direttori perché non inclini alla disciplina. Ben lontano però dal voler fare dei suoi protagonisti due sconfitti dall’ancora prevaricante cultura paterna, Forman concede loro la più partecipata delle rivalse, un escamotage che sa di derisione dell’ormai vetusto ordine stabilito: capito il sistema, questo può essere smontato da dentro prendendosi gioco delle sue stesse regole.

Ma consapevole delle difficoltà che minano il percorso di ognuno e delle discrepanze tra fantasia e oggettività, l’autore va oltre l’idilliaco ritratto di gioventù vincente e, nell’episodio che dà il titolo al film, offre una cruda rappresentazione delle aspettative spesso infrante. Le riprese dei provini presso il Teatro Semafor di Praga offrono uno sguardo compassionevole sulle aspiranti cantanti in gara, ritratto di una generazione tanto influenzata da mode e facili aspirazioni da non riuscire più a cogliere la distanza tra sogno e illusione, come evidenzia lo stesso Forman: “Era incredibile quanto potere avesse un microfono. Le ragazze si avvicinavano come se fosse una bacchetta magica, che conceda loro una voce stupenda rendendole più belle. Comuni paesane prive di ogni grazia si strusciavano sul microfono e saltellavano freneticamente, ragazze sorde musicalmente urlavano al microfono a pieni polmoni, e poi le poverine imbarazzate si facevano dilaniare dalla critica in pubblico.”

Nella parabola della protagonista, desiderosa di vincere la competizione abbandonando così il poco gratificante impiego come pedicure, il cineasta ceco condensa la propria visione del mondo dello spettacolo e della realtà di cui spesso è trasposizione edulcorata: uno specchio per allodole il cui abbaglio sovente nasconde la delusione di chi vi si è riflesso.