“Fateme lavorà! Fateme lavorà!” urla Antonio Ricci, in disperata fuga sulla bicicletta rubata, per le strade di Roma, nel 1948. “Lasciatemi andare, devo lavorare!” urla Ricky Turner, in disperata fuga nel camioncino delle consegne, per le strade di Manchester, nel 2019. Nel gioco tragico delle rappresentazioni della povertà, che è dramma sociale, si incontrano Vittorio De Sica e Ken Loach, rispettivamente con Ladri di biciclette e Sorry We Missed You. Neorealismo italiano e cinema sociale inglese, al servizio degli umili, degli abietti, degli emarginati senza sconto di pena, sono a testimoniare l’eterno ritorno dell’uguale: la lotta tra poveri, la perdita di dignità, l’alienazione professionale e umana.

Ken Loach ospite della Cineteca di Bologna, per presentare in anteprima la sua ventiseiesima opera, racconta: “L’idea di questo film è nata durante le riprese di Io, Daniel Blake (2016) che affronta il problema della povertà estrema. Facendo ricerche per il film ci siamo recati nelle food bank (i banchi alimentari per i poveri) e ci siamo resi conto che una buona parte delle persone presenti lavora eppure non guadagna abbastanza per sostentare la propria famiglia. Abbiamo quindi pensato di scavare più a fondo. Ciò che avevamo intuito è diventato molto chiaro: il lavoro è cambiato. Tutte le conquiste ottenute dai sindacati stanno scomparendo rapidamente, i lavoratori non vengono pagati quando si ammalano, non hanno le ferie pagate o una buona assicurazione”.

E allora si intende bene l’assonanza delle opere. In Loach si assiste forse al più doloroso ritorno al passato. La decadenza economica, etica e sociale assume forme diverse, il dopoguerra allora, il capitalismo neoliberista oggi ma la sostanza rimane la stessa. A farne le spese, in ogni caso, sono i più deboli. Come Antonio e moglie in Ladri di biciclette, così Ricky (Kris Hitchen) e Abby (Debbie Honeywood), impoveriti dalla crisi finanziaria del 2008, cercano di arrabattarsi tra lavori precari - lui fattorino, lei badante a domicilio - e l’educazione dei due figli. In entrambi i casi il mezzo di trasporto è il simbolico protagonista della narrazione, a monito del tradimento del progresso economico. Che sia una bici, o il camion delle consegne, poco cambia. In gioco c’è la sovversione della visione futurista dell’automobile come metafora di potenza, esaltazione e senso di emancipazione. Antonio e Ricky sono prigionieri, del loro mezzo, dei debiti, delle responsabilità che hanno nei confronti della loro famiglia.

Il linguaggio diretto, crudele e i toni sempre più cupi, vagamente apocalittici di Loach ci obbligano a porci delle domande. Che mondo è quello in cui ci troviamo oggi? È un mondo che vive di paradossi e antagonismi. La necessità di dedicare buona parte del proprio tempo per dedicarsi agli altri, in condizioni lavorative di totale sfruttamento, ha di fatto inibito la reale possibilità di riservare le stesse cure a sé stessi e alla propria famiglia, perché sottopagati e consumati dalla fatica. È un mondo para-schiavistico. Il luogo di realizzazione extra familiare, il lavoro, diviene luogo di de-realizzazione. La società sembra dire: sei un numero, sei sostituibile, semplicemente non sei. Cosicché, stremati da questo paradigma, non resta che arrendersi e adeguarsi – esattamente come i protagonisti di Loach. L’unica forma di ribellione sociale prende metaforicamente le forme di una crisi adolescenziale, belligerante e distruttiva, incarnata nel film dal figlio maggiore.

È un cinema che non fa sconti, quello di Loach: “La realtà è questa e non voglio indorare la pillola. La mia intenzione è far arrabbiare il pubblico. Non voglio lasciargli scampo, perché la situazione è intollerabile. E siamo stati noi a permettere che questo succedesse. Stiamo sanguinando. Dov’è la speranza?”. Il regista non dà una risposta che tuttavia traspare in Sorry We Missed You. La speranza è nei legami. È in quei rari momenti di conciliazione familiare che il linguaggio di Loach diviene autentico, estremamente delicato, ottimista. Pur nella lenta e ineluttabile erosione dei sentimenti, il progresso giace negli affetti, in quell’etica della reciprocità, per cui i tuoi diritti sono un mio dovere, che i giovani, oggi, tentano di far proliferare. In tal senso, Loach assegna alla piccola della famiglia il compito di essere la più equilibrata, la più concreta. Ricorda Greta Thunberg, espressione di una generazione che coglie l’eredità delle generazioni passate, la depura delle scorie malate e cerca di trarne il meglio per le generazioni future. Pare, dunque, aderire alla perfezione l’esortazione di commiato di Loach: “ Non piangetevi addosso, organizzatevi”