Le grandi attrici, spiegava Catherine Deneuve in Le verità, indossano nomi e cognomi che iniziano con la stessa lettera: Michèle Morgan, Danielle Darrieux, Greta Garbo, Simone Signoret e anche Brigitte Bardot, nonostante l’ammiccante disappunto della divina francese (che, non serve dirlo, sarà fuori dal giochetto onomastico ma di certo non dall’olimpo). E non possiamo escludere dal novero di queste vedette anche Marcello Mastroianni, che di Deneuve fu grande amore e con cui condivide quell’indolente leggerezza di un corpo mutato dal tempo eppure ancora incantevole in virtù di un impareggiabile carisma. Ma se c’è davvero qualcuno che da MM ha raccolto il testimone della naturalezza, della facilità, della grazia, quella è Stefania Sandrelli ovvero SS, che il 5 giugno 2021 compie 75 anni.

Come Mastroianni, Sandrelli ha attraversato – anzi, attraversa – il cinema italiano con una costanza che non ha eguali. A differenza di Marcello, Stefania ha scontato le tipiche difficoltà di collocamento delle attrici che maturano e ha di certo vissuto una carriera con più discese ardite e risalite, ma è difficile trovare un’interprete che da sessant’anni presidia lo schermo con pari forza e magnetismo. MM e SS incarnano tutte le stagioni di un sentimento che nessuno sa spiegare se non vivendolo (ma perché spiegarlo senza viverlo, d’altronde?): annullano i personaggi perché portano anzitutto se stessi nella vita di quelle anime immateriali, trasvolano sugli ingorghi dell’ansia, planano sulle miserie elevandole a mitologie. E sono totalmente imprevedibili, malgrado ogni loro atto sia profondamente prevedibile a chi coltiva quell’attenzione che purtroppo è spesso simile all’amore.

Ma se Mastroianni proveniva dall’Accademia, Sandrelli si è formata alla scuola della vita. Per questo è forse il nostro più grande e puro animale da cinema. In lei ci sono l’istinto della predatrice e il calcolo invisibile, la disponibilità di chi si concede all’occhio dell’autore e la voracità di chi in realtà sa dominarlo senza sforzo. In un certo senso gioca con il modulo degli istrioni Sophia Loren e Alberto Sordi ma adottando la libidine della sottrazione, trasmettendo la stessa lievità impiegata dal Vittorio De Sica già adulto e un investimento di verità ben colto da Giuseppe Bertolucci nel teorico L’amore, probabilmente.

E poi, più di ogni altra, così semplice e complessa, Sandrelli rappresenta il discorso amoroso del nostro cinema. Ha lavorato letteralmente con chiunque, offrendo sempre una variazione di sé: è stata epifania lolitesca (Divorzio all’italiana) e simbolo di un popolo (C’eravamo tanto amati e poi La prima cosa bella), sensualità ingenua (Sedotta e abbandonata) e carne ribollente (La chiave), piccoloborghese (Il conformista) e rivoluzionaria (Novecento), moglie fatale (Alfredo, Alfredo) e angelo del focolare (da La famiglia a Lei mi parla ancora), femminista (Io sono mia) e succube (Con gli occhi chiusi), mamma sull’orlo di una crisi di nervi (Mignon è partita) e futura nonna che combatte col tempo che passa (L’ultimo bacio).

Avendone raccontato attraverso se stessa le stagioni e i furori, è difficile non associare Stefania Sandrelli all’idea dell’amore. Nella sua immagine svincolata dalla tradizione, nella sua voce modulata sull’incoscienza della malizia, nel suo muoversi così spudoratamente innocente verso un prossimo che è per natura sedotto e abbandonato, in tutto questo apparato umano inafferrabile c’è il mistero di un sentimento impenetrabile, di un orizzonte che trascende i confini della ragione, di un mondo fatto di sguardi che contengono altri mondi. Lo capì Gino Paoli, che per lei scrisse Sapore di sale, eternando quella storia d’amore da tutti ritenuta scandalosa per il divario anagrafico e culturale nel “gusto un po’ amaro di cose perdute”.

Anni dopo, con un proiettile nel cuore e altri amori passati sotto i ponti, lui compose Una lunga storia d’amore per un film di rara bruttezza, Una donna allo specchio: la carezza di chi non dimentica quelle “cose lasciate lontane da noi, dove il mondo è diverso, diverso da qui”. È difficile non trovare Stefania in ogni canzone degli anni Sessanta, come d’altronde lasciò intendere Antonio Pietrangeli con Io la conoscevo bene, un capolavoro che è uno studio sul lavoro dell’attrice, un’ode alla sua magnifica e fragile presenza, un’ipotetica autobiografia altrui. “Quando scopriamo l’amore – canta Paoli in Vivere ancora – scopriamo la paura, la paura di perderlo, scopriamo che è tutta questione di tempo, questione di mesi, di giorni, di ore”.

È difficile non associare Sandrelli all’idea dell’amore perché in lei convivono la grande storia di un’intera nazione – della Repubblica, meglio, nata pochi giorni prima di lei – dominata dal desiderio di scoprirsi adulta e quella piccola nascosta nell’appartamento accanto tra i cimeli di famiglia e i simulacri di un ceto fluido, il racconto collettivo di una ragazza che il tempo non può scalfire e l’epopea del tempo stesso – il tempo della storia, della nostra storia – che l’attraversa lasciando tracce che sono segni di una rivoluzione culturale. In lei – e nei suoi occhi che si tuffano dal balcone, nella sua risata sempre accordata sullo stupore – c’è quel furore pacato di certi personaggi tipicamente italiani che nell’intemperanza emotiva declinano sogni e bisogni e rincorrono dolori che si innestano nella cicatrice perenne di amori che restano e invece no. È difficile non pensarla in quell’interstizio che c’è tra la parte del cervello dove si affastellano i ricordi e la strada che nel cuore conduce all’ipotesi di futuri condivisi, perché in lei ci sono l’eccitazione dell’innamoramento e il coraggio di spingersi oltre, di immaginare qualcosa che ti sembra tangibile solo quando ne parli ad alta voce con lei.

Ha scritto Paolo Di Paolo, in un pezzo di qualche mese fa incentrato su altro, che forse funziona così quando c’è di mezzo Viareggio, la culla natia di Stefania, la provincia della quale è regina: “il profumo dell’oleandro, il cielo immacolato, i platani, le case basse, la città bianca e umida, l’odore del mare, la lente della nostalgia che rende tutto più intenso e vivido… i giochi, il libeccio, le case dei marinai, le cabine, l’ombra degli anni”. È difficile non associare Stefania Sandrelli all’idea dell’amore, di un amore che forse non proviamo per lei in quanto lei ma per ciò che lei testimonia, per tutta la bellezza che ci ha insegnato a riconoscere nelle bellezze altrui. È difficile non associarla all’amore perché, tutto sommato, è una vita che ci insegna ad amare.