Elisa è muta, vive in un modesto appartamento sopra un cinema e fa la donna delle pulizie. La sua esistenza regolare e piatta, animata dagli affettuosi momenti condivisi con gli amici Giles e Zelda, è in realtà sostenuta da uno sguardo sempre curioso verso il mondo che la circonda. Un giorno tutto cambia quando nello stabilimento in cui lavora, Elisa fa un incontro inaspettato…

La forma dell’acqua è un film del quale si sentiva un gran bisogno, un racconto fantastico per immagini che racchiude in sé la potenza evocatrice delle favole. Tra elegante citazionismo e rivisitazione intelligente – il protagonista rimanda a Il mostro della laguna nera di Jack Arnold (1954) e la storia alla favola de La Bella e la Bestia – il regista Guillermo del Toro (Il labirinto del fauno, Pacific Rim) propone una realtà su grande schermo come dimensione “altra”, irradiandola di colori vivi e declinandola dal punto di vista di personaggi relegati ai margini della società.

Narratore di un meraviglioso che nasce dalle dissonanze del quotidiano, i mondi immaginifici del cineasta messicano si distinguono per il rapporto significante tra forma e contenuto. Alla percepita piattezza e vuoto emotivo di esistenze mediocri il regista contrappone la vitalità del sogno e del senso di solidarietà; alla presunta limitatezza di risorse intellettive fa subentrare la curiosità non giudicante e l’amore incondizionato. Così, La forma dell’acqua diventa un viaggio surreale e terrificante, fra atmosfere intrise di accese cromie e mostri buoni, fra umani feroci e altri dolcissimi. E per questi ultimi, sono il gesto e lo sguardo a dare voce alle emozioni dell’anima.

Oltre la prevedibilità delle parole, gli ‘ultimi’ di del Toro si esprimono con corpi pulsanti di desiderio e occhi e orecchie capaci di proiettare direttamente nella dimensione di un altrove straordinario. Balletti guardati alla televisione, canzoni ascoltate su vinile, mini-sequenze da musical ricreate nell’immaginazione sognante: la musica lega e vivifica ciò che luce e colore esaltano, in una modalità di senso che supera la forma espressiva. Nella musica Elisa va oltre il suo mutismo, cantando un sentimento d’amore impossibile da comprendere in tutta la sua profondità; nella musica la narrazione acquisisce fluidità di discorso compiuto, in un tutt’uno di diegetico ed extradiegetico che avvalora l’importanza della tematica dell’inclusività alla base del film.

Genere dell’evasione per eccellenza, del musical l’opera di del Toro trattiene la matrice sovversiva qui intesa come coraggio, diritto a trovare una propria voce, al di là dei pregiudizi e dei diktat propri del più cieco conformismo. Recitato benissimo da un cast di grandi interpreti, La forma dell’acqua è una favola moderna dal sapore antico, quello che sa di amore vero e del quale non ci si stanca mai, perché sentimento che accoglie e comprende, che unisce oltre le differenze. E l’amore tra Elisa e l’uomo-pesce riempe lo schermo in tutte le sue declinazioni visive e sonore, traboccando d’intensità come una musica che risveglia mente e cuore, o come il fluire avvolgente dell’acqua che fa di ogni forma la forma del proprio essere.       

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