Al tavolo di una caffetteria di Berlino, sotto il cielo limpido di una mattina sferzata dal vento, Johannes lascia Undine per un’altra donna. A Undine, che ha grandi occhi verdi e carnagione diafana, non resta che informarlo della maledizione che l’ex si è appena tirato addosso: Johannes non sa che rompere una storia con lei, enigmatica ninfa acquatica, lo condanna a morire per mano sua. Ma Undine a sua volta ignora che qualcosa può distrarla dall’incombenza del sortilegio e variare quel mito nordico a cui deve nome di battesimo e natura. Questo è l’amore di Christoph, sommozzatore dall’animo gentile che salva Undine dalla disperazione dell’abbandono, e che Undine salva, nella stessa caffetteria in cui Johannes l’ha lasciata, dall’acqua e dai vetri di un acquario in frantumi.

L’amore fra i due ha contorni fiabeschi, connotato com’è da devozione, affetto, condivisione e cura dell’altro. E i suoi luoghi si rivelano incantati: il lago in cui Christoph lavora, abitato da un enorme pesce gatto e sul cui letto giace una consunta targa in pietra intitolata proprio a Undine; un’irreale stazione ferroviaria sempre deserta; treni vuoti sui quali Undine raggiunge Christoph, dai cui finestrini i boschi che si susseguono segnano strane transizioni temporali oltre che fisiche; l’impersonale appartamento in cui lei vive, dal cui terrazzo si vedono correre altri treni, nelle notti illuminate di Berlino. Quando un ingelosito Johannes torna da lei, la strada del suo mito riprende, aprendosi a circostanze impreviste date dal nuovo amore, che porta Undine a salvare una seconda volta la vita di Christoph, con un miracolo degno di quello compiuto da Bess in Le onde del destino.   

Undine - Un amore per sempre, del regista tedesco Christian Petzold, racconta come l’amore dovrebbe essere e come lo sogniamo, divincolandosi dalle catene, che il regista soffre come limitanti, della sua mitologia di partenza. Ma insinua anche con ironia e un’insolita nota di tensione quanto siamo tutti potenziali vittime di allucinazioni di varia natura nel momento della fine di una relazione, e quanto ci raccontiamo favole romantiche per sostenere il trauma. Il sospetto che, dopo l’apertura al tavolo della caffetteria, Undine intraprenda un viaggio fantastico nei suoi desideri, avulso dalla realtà -che paradossalmente è proprio quella del mito- è il più sottile prestigio orchestrato da Petzold nei 90 minuti del film, e non ci si stacca mai di dosso.

E nel porci la domanda sulla necessità attuale di una simile storia, emozionante senz’altro ma chiusa su se stessa, sul senso di una Berlino ecologica e disabitata, di strade buie in cui Undine e Christoph si aggirano soli come in un film horror per compiere il loro destino, di ritorni reiterati sugli stessi luoghi e situazioni, mutati in modo frantumato e straniante, pare possa venirci in soccorso solo David Lynch (ed è tutto dire) con una delle battute chiave di Twin Peaks - Il ritorno: “We are like the dreamer who dreams, and then lives inside the dream. But who is the dreamer?”.

L’amore, appunto, come nei nostri sogni: eterno, divino, terso come uno specchio d’acqua.