Luci e ombre governano in questo film del 1961 che racconta le iniziative partigiane in Bulgaria. In questo contesto di cui siamo meno abituati a sentir parlare, numerosi giovani si sono opposti all’imperversare dell’imposizione fascista compiendo piccoli gesti di ribellione come quelli raccontati in questo film. We Were Young è stato scritto dal marito della regista, ed attinge dall’esperienza diretta dei due, entrambi partigiani in gioventù.

Un quartetto di ventenni prende l’iniziativa nel piazzare bombe, lanciare volantini e dare fuoco a depositi di beni, o almeno ci prova. Il tema che infatti innerva questo film della regista Binka Zhelyazkova è proprio la difficoltà nel gestire da una parte gli intenti rivoluzionari legati a un grande desiderio di libertà e dall’altra le naturali pulsioni dei giovani, comandate da amicizia ed amore. Tra i protagonisti emergono infatti Veska, da poco unitasi al gruppo rivoluzionario, e Dimo, che sembra sbagliare qualcosa in ogni azione, al punto di essere sospettato di tradimento dai suoi compagni, e trova il coraggio per esprimere i suoi sentimenti per Veska solo attraverso una lettera da aprire dopo la sua morte. L’affetto provato viene soppresso in virtù della riuscita delle operazioni ed è costretto a vivere negli spazi “bui” della vita di questi ragazzi, e questo concetto viene ben enfatizzato dalla regia.

La dicotomia tra sacrificio rivoluzionario e passione amorosa è dibattuta dalle immagini attraverso l’uso di luce e di ombre, che abbandonano la normale connotazione di bene e male per abbracciare un sistema di valori più complesso. Ad esempio, quando Dimo si trova a teatro, poco prima del segnale per il lancio dei volantini, viene completamente avvolto dall’oscurità che rimarca il suo coinvolgimento nell’osservazione del balletto, in una bellezza molto lontana dalle frustrazioni della sua vita. Anche l’iconica scena in cui Veska e Dimo passeggiano per la città al buio e la macchina da presa segue unicamente i due cerchi luminosi prodotti dalle loro torce, che si rincorrono e si sfiorano, rimarca questa divisione tra l’obiettivo luminoso della rivoluzione e la ristretta zona d’ombra in cui i rapporti umani si esprimono. La scena viene ripresa nel finale, dove nuovamente due giovani illuminano il proprio cammino, e questa volta vediamo dietro di loro le ombre nere che si allungano occupando gran parte del quadro.

In questo film la mano della regista è molto presente attraverso l’uso di punti di vista atipici, spesso più in basso o più in alto rispetto all’altezza dei personaggi, animati da dolly e carrelli che accompagnano i movimenti degli attori, spiandoli e riposizionandoli in relazione al contesto relazionale ed emotivo della scena.

Anche i dialoghi rimarcano drammaticamente come l’incontro tra questi giovani sia funzionale unicamente alla lotta, che senza questo ideale comune non avrebbero niente da condividere in un mondo distrutto e il fatto di essere arresi all’idea che, combattendo a vent’anni, non hanno nulla da lasciare dietro di sé, neanche il proprio nome. Solo le azioni hanno un senso e danno valore alla loro vita, dissipando ogni paura. Il dolore più grande è proprio quello di sentirsi additare come traditori.

Spesso quando si parla di Seconda guerra mondiale i racconti sono polarizzati tra amici e nemici, partigiani e nazisti, mentre qui entra in gioco il sistema di relazioni tra combattenti, in cui i giovani sentono di dover sacrificare i propri affetti per un’ideale più alto, in un’opera seconda che mostra straordinaria inventiva e cura estetica.