Inventare Clint Eastwood (e inventare Sergio Leone)

Sergio Leone: “Andai a prenderlo all’aeroporto. Arrivò vestito col cattivo gusto degli studenti americani. Me ne fregavo. Erano il suo viso e la sua goffaggine a interessarmi. Parlava poco, come in Rawhide. Mi ha detto semplicemente: «Faremo un buon western insieme». Gli ho messo un poncho per ingrossarlo un po’. E un cappello. Nessun problema. Quadrava tutto, tranne che non aveva mai fumato. E si è ritrovato con un toscano in bocca, un sigaro duro e molto forte. Fu il suo unico calvario”. 

“Per un pugno di dollari” e la critica

La critica fu spiazzata dalla rivoluzione leoniana, e la famosa stroncatura di Mario Soldati aprì un periodo di feroce opposizione intellettuale alla violenza del western all’italiana. Poi nel tempo le cose sono cambiate, e quell’immoralità così indigesta fu compresa nella sua complessità e in un quadro di riferimenti culturali e sociali assai più ampi. 

“C’era una volta il West” e la funzione primordiale del cinema

Se il western è considerato da molti come il genere cinematografico per eccellenza è proprio grazie alla sua funzione mitopoietica, alla capacità di saper imbastire racconti epici e generare figure mitologiche. In questo senso l’impronta di Sergio Leone resta un segno preponderante nella storia del cinema. Ogni inquadratura di C’era una volta il West, è un’esaltazione degli elementi di messa in scena, siano essi persone, oggetti o scenografie. 

 

“Django” di Sergio Corbucci rivoluzionario e nichilista

Django è l’antitesi del western leoniano, in particolare della Trilogia del Dollaro inaugurata dal seminale Per un pugno di dollari. Se Leone ha espresso e continua a esprimere la sua idea di western, è come se Corbucci dicesse “ecco, per me il genere è quest’altra cosa”. Se Clint Eastwood in Per un pugno di dollari giunge a cavallo con indosso un poncho messicano e arriva in un villaggio polveroso, abbagliante e bruciato dal sole, Franco Nero in Django arriva a piedi vestito con un’uniforme nordista, trascinando una bara in un paesino dalla luce grigia e crepuscolare dove tutto è ricoperto dal fango (ma a sua volta anche Corbucci girerà degli western in altre ambientazioni, dai paesaggi innevati de Il grande silenzio a quelli arsi dal sole di Navajo Joe).

Leone, Tessari, Corbucci e Barboni. L’avventurosa storia del western all’italiana

Offriamo ai lettori alcuni estratti di L’avventurosa storia del cinema italiano. Da La dolce vita C’era una volta il West. Volume terzo, a cura di Franca Faldini e Goffredo Fofi, Edizioni Cineteca di Bologna, 2021. Oggi tocca a una ricostruzione orale della splendida avventura del western all’italiana. Sergio Leone diceva: “Io non ero affatto un patito di western. Ero un patito di buoni film e tra i buoni film includevo alcuni western. Spesso hanno fatto degli accostamenti tra Ford e me. Ecco, io la penso così: Ford era un ottimista, mentre io sono un pessimista”.

“Il mio nome è Nessuno” e il canto del cigno della mitologia western

Bellissime e significative le scene che dipingono l’eterno inseguimento in bilico tra realtà e miraggio tra Beauregard e il Mucchio Selvaggio, che ricordano quasi la vana attesa de Il deserto dei Tartari, simbolo di un genere ormai maniera, che insegue solo la propria coda. A scanso di spiegoni nebulosi un po’ gattopardeschi come quello che chiude il film, è questa sensibilità meta-filmica a rendere Il mio nome è Nessuno un film profondo, nonostante i suoi molti difetti; l’ultimo film western di Sergio Leone, se lo si vuole intendere suo, è il definitivo canto del cigno della grandiosa mitologia della presa dell’Occidente.

“Per qualche dollaro in più” al Cinema Ritrovato 2019

In Per qualche dollaro in più, le accuse di disimpegno che piovevano sul regista trovano il bersaglio perfetto. È davvero tutto ciò che si diceva di lui (forse non così “amorale” però capiamo); un cinema giocato in cortile, di sguardi storti e pistole finte, ma con che senso di libertà! C’è la struttura triadica (o trinitaria) di Il buono, il brutto, il cattivo e la vendetta finale di C’era una volta il West, ma senza il respiro storico del secondo né l’idea di almeno una trasversalità rispetto alla Storia del primo. La narrazione non entra in dialettiche di sorta, il cinema è motore a se stesso.

C’era una volta Sergio Leone: intervista a Sir Christopher Frayling

Deve proprio essersi sentito a casa, Sir Christopher Frayling, muovendosi tra i libri e i visitatori della biblioteca Renzo Renzi: lui, massimo esperto del cinema di Sergio Leone, esattamente in mezzo ai manifesti di Per un pugno di dollari e C’era una volta in America (rispettivamente secondo e ultimo film del regista romano), che spiccano sopra gli scaffali della Book Fair nella Cineteca bolognese. Del resto, un ospite della sua caratura non poteva mancare, nel giorno della proiezione in Piazza Maggiore di quello che – assieme a C’era una volta in America – resta impresso come il film più gravido d’epos del cinema leoniano: C’era una volta il West, ovviamente, di cui viene celebrato il cinquantesimo anniversario.

Leone, Morricone e il tema del West

Il contributo di Ennio Morricone è sempre stato un fattore di primaria importanza nel cinema di Leone: le sue musiche venivano scritte prima dell’inizio della lavorazione così da permettere al regista romano di utilizzarle durante i ciack, aiutando gli attori a entrare nel personaggio e nell’atmosfera della narrazione. Leone definiva il compositore, “il migliore sceneggiatore dei suoi film”, proprio perché capace di costruire temi differenti per ogni personaggio, stratificati e declinabili secondo le varie esigenze filmiche e che in qualche modo racchiudono in sé caratteristiche riconducibili ai personaggi e a tutto quello che questi vogliono simboleggiare.

“C’era una volta il West” tra Cinema e Sessantotto

Morricone è il co-autore del film: il tema di Jill è caratterizzato da un “andamento grandioso” ed esattamente come Jill (e l’America) guarda al futuro, al cambiamento, a una nuova forma. Quello di Armonica, invece, riguarda due personaggi (lo stesso Armonica e il villain Frank) ed è legato a doppio filo con il concetto di vendetta, si lega al passato, alla violenza gratuita ed ingiustificata che uomini come Frank hanno perpetrato sadicamente. Il terzo tema è quello di Cheyenne, più ironico e giocoso, così come è la natura del personaggio. Al brano è legato un aneddoto curioso: Morricone non riusciva a capire a fondo la natura del personaggio e tutto quello che componeva non soddisfaceva l’esigentissimo Leone il quale, per far comprendere precisamente al musicista cosa volesse, paragonò il bandito al Biagio del film Disney Lilli e il vagabondo. Solo in quel momento Morricone cominciò a comporre il leitmotiv del personaggio-simbolo di tutte le contraddizioni americane.