C’è anche l’ultimo Aimer, boire et chanter, inedito in Italia per Rendez-vous. Appuntamento con il nuovo cinema francese , che porta a Bologna un assaggio del miglior cinema francese recente. Per l’occasione ecco l’omaggio, a un mese dalla scomparsa, al maestro Alain Resnais. Hiroshima mon amour è di nuovo nelle sale, e il recentissimo film d’addio chiude una carriera esemplare e sorprendente. Per questo motivo, ecco una breve silloge di recensioni del film…”Resnais, come l’erba che spunta nelle crepe dell’asfalto, si rige­nera ancora una volta come puro gesto cine­ma­to­gra­fico. Pre­senza imper­cet­ti­bile ma reale. In que­sta pro­gres­sione di titoli, che è un dia­logo, un inter­ro­garsi ver­ti­gi­noso rilan­ciando la sfida della com­ples­sità e dello sguardo, vive un pia­cere del darsi ma anche del rein­ven­tare se stessi unico. Davanti a ogni nuovo film di Resnais, si attiva il relais della memo­ria che spinge a svol­gere il filo delle imma­gini pre­ce­denti. Cos’altro erano le lacrime che acco­glie­vano le prime imma­gini di Vous n’avez encore rien vu in sala Lumière a Can­nes se non un rico­no­scersi, un riflet­tersi l’uno nell’altro. Un ritro­varsi, un risco­prirsi. Lo spec­chio e lo sguardo. La danza delle forme rin­no­vava il suo esserci e con esso si spo­stava il mondo come l’avevamo cono­sciuto sino a pochi minuti prima di entrare in sala. Poi, certo, il mondo restava sem­pre ad aspet­tarci all’uscita: Aimer, boire et chan­ter. Che altro? Ma sì! Il cinema” (Giona A. Nazzaro, Il Manifesto)

“Il magnifico cineasta gioca cosi’ con i diversi piani del racconto con l’agilita’ di chi questo tipo di narrazione lo frequenta da sempre, e la leggerezza dei suoi ultimi strepitosi film (Gli amori folli, Vous n’avez encore rien vu) che nascondono puntualmente un funerale traslato sulla parola “fin”. Ma piu’ che con le allegre giravolte della sinossi, dominata dalla figura sempre fuoricampo del tombeur George che regge le fila di un intricato gioco di gelosie che finira’ per svelare la verita’ sulle relazioni di lungo tempo tra tre coppie di amici, Resnais sembra divertirsi a fingere ogni cosa, sia detta che celata, sia mostrata che nascosta all’obiettivo, complice la recitazione fantasticamente antinaturalista dei volti familiari, l’inarrestabile Sabine Azéma su tutti.  La battaglia e’ tutta giocata su cio’ che e’ fuoricampo ma entra in qualche modo nella dimensione del quadro (George Riley, la festa di compleanno della giovane Tilly) e cio’ che effettivamente vediamo fingendo che sia nascosto (i “trucchi” del set: fari in scena e cespugli disegnati), ma e’ proprio da questo cortocircuito che trasversalmente si apre una crepa per far sgorgare il cinema, con quella potentissima apparizione finale dell’adolescente sedotta e della sua macabra cartolina, un segno di cinema di quelli purissimi e portentosi.  Quello che sentiamo, quello che vediamo, quello che e’ in campo, quello che rimane fuori: magari a qualcuno farebbe bene segnarsi qualche appunto della lezione…” (Sergio Sozzo, Sentieri Selvaggi)

“Le mouvement, très beau et proprement stupéfiant du film, qui semble pourtant s’avancer à petits pas joueurs et à coups d’expérimentations volontiers déroutantes, consiste à renverser un mouvement de fuite et d’appel – partir – en un tourbillon des intérieurs, dont on sait qu’ils sont chez Resnais le prolongement vertigineux des têtes et des cœurs” (Florence Maillard, Cahiers du Cinema)

“Resnais, lui, a choisi une nouvelle forme pour son dernier ouvrage : aux décors de studio hyperréalistes de S/NS ou de Coeurs, il substitue un univers irréel, flou, imaginaire. Mélangeant vues aériennes, illustrations du dessinateur Blutch et décors en tissus déchirés où les comédiens semblent s’ébrouer, il les fait glisser, eux et leur jeu si précis, dans une zone indistincte où l’imagination du spectateur est en permanence sollicitée, où rien ne semble figé. Comme un brouillard, pareil aux méduses d’On connait la chanson, à la neige nocturne de Coeurs, à la poussière qui brille dans le noir. Aimer, boire et chanter, quel drôle de titre au fond, pour un film si funèbre quand même, comme une bulle qui partirait vers l’ombre. Kubrick avait conclu son dernier film, Eyes Wide Shut, sur un « Let’s fuck » dit par Nicole Kidman. Alain Resnais nous quitte en nous laissant Aimer, boire et chanter (alors que le titre de la pièce est Life of Riley). Chacun son truc. (Jean-Baptiste Morain, Les Inrockuptibles)

“But Resnais, who began by making experimental documentaries in the 1940’s and now, nearly seventy years later, has embraced filmed-theatre as perhaps his most experimental mode yet, seems determined to carry the drama’s artifice to its upmost extremes, constantly exposing the fraud that lies behind classic narrative structures. It’s a technique that makes sense with respect to Ayckbourn’s work, which often deals with the quotidian deceptions of suburban couples, until something happens – in this case, Riley’s sickness and transgressions — that makes the truth come shouting out. And while there doesn’t always seem to be a method to Resnais’ madness (the justification of the mole in the press notes is laughably abstract), he’s hell-bent on proving that cinema can embrace all forms, especially the theatre that preceded it. (“I prefer movies,” Dussollier’s character quips at one point, as if echoing Resnais’ own sentiments.) Alongside the motley sets, the cinematography by Dominique Bouilleret mixes the interiors with occasional cutaways to exterior shots of the English countryside, as if to better underline the artificialness of the homes and backyards, which are also depicted in the establishment-shot drawings by Blutch. A playful score by regular Mark Snow adds a whimsical dimension to the proceedings, while ace editor Herve de Luze allows many of the scenes to play out in extended takes. The film’s French title translates to “Love, Drink and Sing,” of which some of the former, none of the latter and much of the in-between appear on screen.” (Jordan Mintzer, Hollywood Reporter)