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“Nella morsa” della passionalità schiacciata
Sebbene il titolo – Caught in originale – possa lasciare presagire una buona dose di suspense, l’intreccio effettivo ruota attorno a un triangolo amoroso fra una giovane sposa ingenua, un ricco imprenditore possessivo e un pediatra di buon cuore. Adattata dal romanzo Wild Calendar, è una storia che sarebbe potuta scadere in una successione di stucchevoli soliloqui romantici, colmi di un’emotività che non trapassa i bordi dello schermo. La passionalità di Nella morsa è invece schiacciata, annichilita dal gelido cinismo di personaggi succubi delle proprie manie o del ruolo impostogli.
“Il piacere”: la vie se lève
Già a metà Ottocento, con Una vita di Maupassant il posto dell’allegoria letteraria era cambiato: il mondo esterno si era rintanato nello spazio chiuso dei sentimenti e così’, forse, sceglie di operare anche Ophüls molti anni dopo, contravvenendo al cinema dell’intellectualité di baziniana memoria e all’eiaculazione oculare di Bresson, facendo entrare la vita dentro i suoi personaggi dissidiati tra sentimento e morale e non tirandola fuori dallo schermo; questa, la forza di una rivelazione catturata nel suo movimento centripeto, un fulmine di celluloide bloccato solo nel raccoglimento del ricordo perduto. Ophüls ha saputo raccontare, per dirla con le parole di Truffaut, “la crudeltà del piacere”, le vanità e gli affanni dell’epoca moderna annegate nelle città brulicanti, nella flânerie indisciplinata e nel connubio tra vita attiva e vita contemplativa.
“I gioielli di Madame de…” di Max Ophüls al Cinema Ritrovato 2018
Tra il 1950 e il ’55, Ophüls vola altissimo, un crescendo irresistibile che suscita tuttora una clamorosa, incontrollabile, irripetibile vertigine. Prendiamo I gioielli di Madame de… e chiediamoci: come diavolo è riuscito a raccontare con tanta spregiudicata e spietata modernità un universo così ingabbiato nei suoi riti da essere quasi inaccessibile ai posteri? D’accordo che il titolo è lo stesso del romanzo di Louise de Vilmourin, ma ammiriamo in quanti modi diversi viene messa in scena la reticenza sul cognome della coppia: lo starnuto provvidenziale, il vuoto di memoria, l’autocensura, l’allusione maliziosa. Accettando questa elusione tipica di una certa letteratura disponibile a parlar di tutto purché l’onore del ceto raccontato fosse salvaguardato da una velatura sotto forma di asterischi, Ophüls si cala nella visione del mondo di una società “superficiale in superficie” ben rappresentata dal terzetto di protagonisti.