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“Lo strano amore di Martha Ivers” al Cinema Ritrovato 2020

Lo sguardo vitreo e l’espressione del volto incorruttibile e dura della giovane Martha Ivers alla vista del cadavere della zia assassinata sono già una dichiarazione d’intenti. Nessun dubbio. Nessuna esitazione. Nessun bisogno di redenzione. C’è voluto pochissimo: uccidere la donna e causa del suo malessere “è stato come respirare”, per citare il personaggio di Henry Fonda in Furore di John Ford. Alla regia di Lo strano amore di Martha Ivers c’è invece Lewis Milestone il cui film – oltre che a reggersi sulle splendide interpretazioni di Barbara Stanwyck e un Kirk Douglas alle primissime armi – parla del bisogno di allontanarsi dal proprio passato rimuovendone le macchie e dell’inevitabile senso di colpa che ne consegue. 

Buster Keaton e il disorientamento inarrestabile

Il Johnnie Gray di Come vinsi la guerra non è il solito personaggio keatoniano a disagio in un mondo che gli sta troppo stretto ma, tranne in alcune scene, è sorprendentemente arguto e addirittura capace di usare l’ambiente, quello stesso in cui molte volte lo abbiamo visto disorientato e disambientato, contro i suoi nemici. Rispetto ad altri suoi film, forse anche grazie alla storicità della premessa, The General è più lineare e meno dispersivo, risultando in un vero e proprio flusso inarrestabile di coreografie, mimica e azioni che scorrono ad una velocità tale da rendere disorientato non tanto Keaton, ma lo spettatore. Vedere un film di Buster Keaton è sempre un piacere, ma lo è soprattutto in un film come The General.

“Tutto finì alle sei” e il mito hollywoodiano del criminale con un cuore

Mentre è diretto in auto verso le montagne, un uomo incontra e aiuta una scalcagnata famiglia composta da due nonni e una nipote diciannovenne, Velma, in viaggio dall’Ohio verso Los Angeles. Proprio una brava persona, commenta il nonno, subito prima che una pagina di giornale ci informi che l’uomo è Roy Earle, rapinatore nemico numero uno dell’FBI, incredibilmente rilasciato in anticipo dalla prigione. Così inizia Tutto finì alle sei (I Died a Thousand Times) di Stuart Heisler, remake di Una pallottola per Roy di Raoul Walsh, la cui sceneggiatura è stavolta accreditata al solo W.R. Burnett, autore del romanzo originario High Sierra.

“Il gabinetto delle figure di cera” al Cinema Ritrovato 2020

Il gabinetto delle figure di cera di Paul Leni merita di essere scoperto o riscoperto come una tappa significativa dell’espressionismo. Un’inquietudine, che lascia solo qualche indizio nell’episodio orientale e che gradualmente e inesorabilmente si radica nello spettatore. Le tre vicende – sarebbero dovute essere quattro, ma problemi di budget impedirono la realizzazione dell’episodio ambientato in Italia col mago Rinaldo Rinaldini protagonista – nascono nella mente di un giovane poeta il quale, trovando lavoro in una fiera, immagina le vicende dei tre personaggi immortalati in statue di cera. 

“Alba di gloria” al Cinema Ritrovato 2020

C’è un’inquadratura ricorrente in Alba di gloria (Young Mr. Lincoln, 1939) che è un po’ l’emblema di tutto il periodo “rooseveltiano” di Ford e in particolare dei film con protagonista Henry Fonda: Lincoln seduto su una sedia, le gambe appoggiate a scrivanie o banconi, reclinato all’indietro e quasi in procinto di cadere. La stessa posa, solenne e perfino aggraziata nella sua innaturalità, che il duo renderà iconica qualche anno dopo in Sfida infernale (1946), dove Wyatt Earp si dondola mollemente sulla sua seggiola puntellandosi con gli stivali contro la staccionata della veranda. Questa buffa contorsione è spesso interpretata dagli esegeti fordiani come correlativo di una ricerca di equilibrio, inteso come quell’armonia sociale per cui l’eroe combatte facendo fronte alla minaccia brutale della wilderness che ancora si annida ai confini della città. Il distacco dalla figura di Earp, in questo film dall’approccio “plutarchèo” dove al monumento è sì restituita tanta umanità, ma esso resta pur sempre icona fondante di un èthos ed è quindi evidentemente dotato di risorse morali e intellettuali superiori al comune mortale, sta nel diverso grado in cui lo stesso protagonista affronta la mutazione dal barbarico alla civiltà.

“Come vinsi la guerra” e il cinema puro

Qui il Keaton che tutti conosciamo sviluppa pienamente tutte le sue meccaniche della comicità fresca e intelligente che nell’opera del 1926 raggiunge l’apice della storia diventando il film cardine della sua intera e lunga carriera. Considerato uno dei cento migliori film americani di tutti i tempi, Come vinsi la guerra non ha bisogno di ulteriori presentazioni, se non l’ulteriore appunto che, per un film molto difficile da realizzare, tutto quello che vediamo sullo schermo è vero, senza trucchi, stunt, modellini, effetti speciali o qualunque altro prodotto di finzione. con la chiara consapevolezza che tutti gli equilibri del suo dinamismo corporeo, le locomotive, le scenografie, i costumi, le comparse sono frutto di una precisissima volontà alla fedeltà della storia, Come vinsi la guerra assume lo status di puro cinema che segue le linee di una geometrica unica.

“Una donna distrusse” al Cinema Ritrovato 2020

Non tanto un film sulla dipendenza come origine di ogni male, quanto piuttosto come conseguenza di una infelicità ordinaria, esiziale: Heisler, evidentemente affascinato dal tema dell’alcolismo (ha un posto di rilievo anche in altre sue opere) racconta un melodramma come un noir, a dispetto del barocchismo della trama, con un senso primigenio di solitudine e inutilità dell’eroe – in questo caso un’eroina – e con una singolare asciuttezza di dialoghi e di interpretazione. Susan Wayward dà tutta se stessa e la propria umiliazione alla parte della protagonista, ed è stata poi candidata all’Oscar come migliore attrice. Non dunque un film sulla violenza maschile ma sulla violenza dei ruoli di genere rispetto alle possibili inclinazioni e passioni individuali.

Signornò, signore! “F.T.A.” e il tabù dell’insubordinazione

F.T.A. si preannuncia come una delle occasioni imperdibili per fare un salto nel passato novecentesco, rivivendo gli sconvolgimenti interni vissuti dagli USA durante la guerra del Vietnam. Girata nel 1972 da Francine Parker e prodotto da lei stessa, assieme a Jane Fonda e Donald Sutherland, la pellicola ebbe il pregio di catturare dal vivo il Free (o F**k: l’ambiguità è voluta) The Army Show, che vide i due attori hollywoodiani girare in tour le principali basi militari statunitensi, dentro e fuori i confini naturali del Nord America. L’obiettivo consisteva non solo nel mettere in scena uno spettacolo antitetico a quello militarista di Bob Hope (attaccando le alte sfere militari e contestando l’entrata degli USA nel conflitto), ma anche nel creare un legame tra i soldati animati dal malcontento verso la situazione in atto nello scenario asiatico.

“Il fuorilegge” al Cinema Ritrovato 2020

Oltre alla potente chimica della coppia Lake-Ladd, che li avrebbe fatti tornare a lavorare assieme in altri tre film, fra cui La chiave di vetro di Stuart Heisler di lì a pochissimo, Il fuorilegge vanta un’esemplare combinazione di atmosfere noir, battute pungenti come nello stile del genere, e sincopate scene d’azione (mirabile – e copiata – quella del salto sul treno). Tuttle è nel pieno della maturità artistica e del possesso dei mezzi espressivi, e li usa per argomentare la spietatezza di Raven che, non più giustificata dal viso deforme, si fa trauma infantile e ingiustizia sociale. Continuano i suoi riferimenti, a questo punto nemmeno tanto velati, a come i capitalisti e i magnati dell’industria facciano uno sporco gioco, e le benintenzionate forze dell’ordine finiscano inavvertitamente per fare i loro interessi. Sembra pensare, nel solco della migliore tradizione del gangster movie, che ciò che dovrebbe terrorizzare il pubblico può forse svegliarlo.

“Le forze del male” e il noir politico di Abraham Polonsky

Non sorprende che Martin Scorsese abbia descritto Le forze del male di Abraham Polonsky come uno dei film più influenti per la sua carriera. Questo noir sorprendente incentrato sulle lusinghe del denaro e sulla capacità metamorfiche della criminalità presenta diversi elementi che ricompaiono nella filmografia scorsesiana: la natura complessa e ambivalente del rapporto fraterno tra l’avvocato della malavita Joe Morse e il fratello maggiore Leo; la voce narrante del giovane arrivista accecato dall’arricchimento facile del percorso malavitoso; la descrizione dettagliata del sistema criminale delle scommesse nelle sue diverse sfumature di illegalità, connesse a motivazioni e contesti altrettanto diversi.

 

Mae West la drama queen in “Non sono un angelo”

Quando gira Non sono un angelo, nel 1933, Mae West è appena al terzo ruolo cinematografico ma già all’apice della sua breve parabola. Dopo lo strepitoso successo di Lady Lou nello stesso anno, con perfino una candidatura all’Oscar come miglior film, la Paramount si sdebita dandole carta bianca. Se già nei due film precedenti West aveva avuto parecchia voce in capitolo – in Night after Night (1932) come coautrice non accreditata dei dialoghi, mentre Lady Lou trasponeva un suo lavoro teatrale – ora è unica soggettista, sceneggiatrice e dialoghista delle sconcertanti scene che interpreta, privilegio per pochi, ma che l’illustre casa di produzione non potè non concedere a chi in epoca di gold diggers era arrivata da sola a valere quanto un’intera gold mine.

“Roman Scandals” al Cinema Ritrovato 2020

Il museo degli scandali (Roman Scandals, 1933) è un meccanismo a orologeria e la perfetta commedia con budget dei primi anni ’30, quando passato lo shock del sonoro si è appena compresa la forte presa sul pubblico di una parte musicale ben curata. Samuel Goldwyn non vuole fare mancare nulla al pubblico della Grande Depressione, bisognoso di svago: battute senza sosta e un tocco di slapstick, canzoni appiccicose e balletti indiavolati, scenografie stupefacenti e donne simili a dee, inseguimenti a perdifiato e persino lo stupore esotico di scimmie e leoni. Le donne sono qui oggetti del desiderio eppure Tuttle, che tanto spazio ha riservato loro nella sua filmografia, riesce con tocco leggero a renderle al contempo anche soggetti dalla indomita volontà o dalla ferale e melliflua astuzia.

“Mezzogiorno di fuoco” e l’impasse morale dell’antitesi eroica

Kane è il perfetto figlio di un’epoca di revisione già incipiente, gli anni Cinquanta in cui le fondamenta ideologiche del genere scricchiolano sempre più pericolosamente, gli uomini tutti d’un pezzo sono un ricordo e quelli che rimangono fanno spesso più paura dei cattivi. Non bestiale come i personaggi di Mann né antieroico come quelli di Boetticher, il miglior termine di paragone per lui è forse il pavido Dan Evans di Quel treno per Yuma (1957, di Delmer Daves). Se dovessimo scommettere su cosa di Mezzogiorno di fuoco fece uscire più dai gangheri Howard Hawks e John Wayne, peggio ancora dell’indifferenza della comunità o dello sceriffo salvato da una donna, punteremmo su questa atmosfera insopportabilmente smorta e monotona che è l’antitesi esatta dell’ariosità dell’avventura western, l’eroe dagli occhi azzurri ridotto a mendicante da parabola biblica che passa metà film andando di porta in porta a supplicare aiuto.

Tarkovskij oltre il documentario: “Tempo di viaggio” al Cinema Ritrovato 2020

L’inserimento della pellicola nella sezione “Documenti e documentari” non ne costituisce una categorizzazione stretta nel mondo documentarista, proprio a cagione di un’insofferenza del nostro verso i codici dei generi, criticati da una prospettiva che tuttavia ha poco da spartire col paradigma postmodernista. Tarkovskij non pone infatti il superamento dei confini del genere nell’ottica di una divisione temporale tra un “vecchio cinema” e una nuova vulgata postmoderna: è la sua stessa concezione dell’arte, fin dagli esordi, ad imporre il travalicamento dall’angusta dimensione del genere, i cui tratti caratteristici devono sfumare in funzione dell’universalità del contenuto. Tale proposito artistico viene esplicitato proprio in Tempo di viaggio dallo stesso regista, che vide il suo Stalker come la più compiuta realizzazione di tale intento.

I film di Aleksandra Chochlova al Cinema Ritrovato 2020

Aleksandra Chochlova ebbe una attiva e proficua collaborazione con il marito Kulešov sia come assistente che come attrice nei suoi film. L’occasione per la Chochlova di dimostrare le sue doti registiche in solitaria avviene nel 1929 con il benestare dello scrittore Viktor Borisovič Šklovskij che le propose di adattare tre dei suoi racconti. Il primo è Delo s zastežkam (it. Il caso dei fermagli), una critica feroce alle contraddizioni della borghesia pre-rivoluzionaria. Tra tutte spicca la loro religiosità di comodo legata più che altro alla speranza di un vantaggio futuro e al fatto che la chiesa “è il posto dove è più facile cambiare le banconote”. Nel film troviamo tutta l’incomunicabilità tra proletari e borghesi, dove i secondi hanno tutto ma non vogliono dare nulla, mentre i primi faticano per non ricevere nulla.

“Gomorra” tra passato e presente

Non c’è mai una via d’uscita o una possibilità di cambiamento, tutti i personaggi centrali alle quattro storie narrate vivono all’interno di un universo che non lascia scampo, né scelta. O meglio la scelta c’è e sta tra la vita criminale che non porterà altro che morte e tradimento e il vivere una vita di patimenti e vessazioni lontano dalla camorra. Forse il più grande pregio di Gomorra è stato l’essere in grado di mostrare il problema di questa terra su di un livello locale, dove tale sistema marcio si pone come unica opzione di vita possibile, ma anche di portarlo altrove, alle aziende del Nord Italia e all’alta moda mondiale, ad una dimensione glocal che è proprio quella che conferisce a tali organizzazioni un grandissimo potere economico e criminale.  Citando Garrone, in collegamento telefonico con il pubblico dell’Arena Puccini, chi ha amato il film nel 2008 continuerà ad amarlo in questa versione, che è solamente un po’ più esplicativa, ma mantiene lo stesso identico impianto della versione precedente.

 

“Sono innocente” di Fritz Lang al Cinema Ritrovato 2020

La meraviglia di Sono innocente sta tutta nella regia di Lang, che sa costruire una tensione drammatica nelle sequenze d’interni più che in una narrativamente superflua fuga in macchina; che sa dedicare ai suoi protagonisti dei primi piani meravigliosi; che sa rendere le luci e le ombre riflessi di uno stato psicologico (Eddie in cella prima dell’ultimo pasto) o elemento scenografico caratterizzante i personaggi (il dialogo tra Joan e il prete, con un’ombra che disegna una croce sulla sedia); che sa infondere un profondo simbolismo a gesti e angolazioni di ripresa; che sa usare anche il sonoro come strumento drammaturgico (il colloquio attraverso il vetro); che, infine, sa rendere una contrapposizione tra bene e male, tra uomo e società, meno banale e dualistica di quanto sembri.

Ruth Roland, donna coraggiosa al Cinema Ritrovato 2020

Nel complicato puzzle dei serial statunitensi in cui donne coraggiose, ardite e tenaci come Pearl White, Mary Fuller, Helen Holmes e Ann Little hanno un ruolo degno delle più grandi locandine, anche Ruth Roland trova un posto tutto suo sul finire degli anni Dieci. Nata a San Francisco nel 1892, Roland occupa una parte di rilievo nel suo primo lungo serial di quattordici episodi (ad oggi tutti perduti) The Red Circle (1915). Dopodiché non abbandona mai le interpretazioni in film western e serial d’avventura fino al 1930, anno tragico per molte stelle del muto che rinunciano alla loro carriera per amore di un cinema vero, ritornando alle origini del palcoscenico teatrale fino alla morte prematura nel 1937.

“Tonkatsu Taisho” di Yuzo Kawashima al Cinema Ritrovato 2020

Il prolifico – poco meno di cinquanta film realizzati in 19 anni, dal 1944 al 1963 – Yuzo Kawashima è poco conosciuto al di fuori della madre patria. Si può pensare che il motivo possa essere la convivenza temporale con autori del calibro di Ozu, Kurosawa e Mizoguchi, inevitabilmente dominanti nella memoria storica. Che una sua riscoperta anche al di fuori dei confini del paese del Sol Levante sia però opportuna e interessante lo si percepisce già guardando il film inaugurale della sezione “Yuzo Kawashima – L’anello mancante”, Tonkatsu Taisho (1952) (Our Chief, Our Doctor è il titolo inglese), un melodramma sociale dalla buccia distaccata e romantica e dalla polpa dolorosa e problematica ambientato nelle contraddizioni, nelle differenze e nelle rivendicazioni del Giappone del secondo dopoguerra. 

Un tocco di Frank Tuttle e Stuart Heisler tra Cary Grant e Bette Davis

Diversi, eclettici, entrambi al lavoro per la Paramount e ugualmente relegati ai margini del canone hollywoodiano, Frank Tuttle e Stuart Heisler sono protagonisti della retrospettiva curata da Eshan Khoshbakht, I fuorilegge: Frank Tuttle vs. Stuart Heisler, al tempo stesso appaiati per affinità di vedute politiche e messi in contrapposizione da quel versus nel titolo: a sottolineare la natura comparativa della selezione e la differenza stilistica dei due registi, che rappresentano il perfezionamento del mestiere della regia e la capacità di muoversi tra i generi più disparati sfruttando i talenti a disposizione.