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Sfumature di risate. “Gambe da un milione di dollari” e “Laughter” al Cinema Ritrovato 2021
La molteplicità di soggetti e generi in cui è coinvolto Herman Mankiewicz parla da sola della versatilità del multiforme personaggio, di cui la sezione del Cinema Ritrovato cerca di rendere conto con una varietà di film diversissimi tra loro. Gambe da un milione di dollari, prodotto da Herman e scritto da Joseph Mankiewicz, è una sgangherata farsa sentimentale e sportiva, dove in tutti i campi dell’esistenza regna la mancanza di regole, compreso lo sport, la società, la fisica. Se Gambe da un milione di dollari è vero e proprio cinema comico ridanciano, Laughter, a dispetto del titolo, è una commedia trattenuta con momenti sia drammatici sia screwball ante-litteram (esce nel 1930), senza la caotica follia degli esemplari successivi.
Il tempo crea eroi. Oscar Micheaux pioniere del cinema afroamericano
Micheaux è l’unico produttore nero a passare indenne al sonoro, continuando una produzione di qualità pur se di nicchia fino al 1948 con un catalogo complessivo di circa 50 titoli, molti dei quali andati perduti per incuria o scarsa qualità dei supporti. Murder in Harlem (1935) segna una delle vette del cinema sonoro dell’autore; remake del proprio The Gunsaulus Mistery di una decina di anni prima, il film ricostruisce un noto fatto di cronaca di inizio secolo che vede una guardiano notturno nero accusato ingiustamente dell’omicidio di una giovane dipendente bianca.
“Khayal Gatha” e “Ghatashraddha” al Cinema Ritrovato 2021
Questo dittico di film apre una parentesi di riflessione su temi quali il rapporto del mistico nel quotidiano e l’impatto della religiosità nella vita sociale, partendo da un luogo, l’India, estremamente frastagliato ed eterogeneo, che per lontananza tendiamo purtroppo a percepire come monolitico. Khayal Gatha è un film nebuloso, in cui lo studio del Khayal, una forma musicale tradizionale indiana, da parte di un giovane si interseca con la rappresentazione di storie e miti riguardanti l’evoluzione di questa tecnica nei secoli. Decisamente meno ostico e più concreto il secondo film, Ghatashraddha (Il rituale), di Girish Kasaravalli. Il tema dell’influenza della religione nella costruzione del tessuto sociale è al centro della scena.
I bassifondi tra Gor’kij e Renoir. “Verso la vita” di Jean Renoir
Jean Renoir dirige Jean Gabin e Louis Jouvet nel libero adattamento del testo teatrale di Gor’kij. Se nel 1902 Gor’kij colloca ogni vicenda dentro le mura dell’oscuro dormitorio sul Volga, trentaquattro anni dopo Renoir vi evade già dalla prima scena. Mentre il testo teatrale rappresenta un’umanità misera e immobile, Renoir emerge dall’abisso ipotizzando la possibilità di un riscatto. Insomma i bassifondi del drammaturgo sono molto distanti da quelli del regista. Gabin trentenne, da poco avviato al successo (proprio intorno al ‘36 interpreta i suoi ruoli più fortunati) è un ladro che desidera una vita onesta con la sua amata, ma sarà ostacolato dall’avido proprietario del rifugio e dalla sua gelosissima moglie, sorella della ragazza.
“Emigrantes” tra neorealismo e bonomia
Se il tono generale del film risulta assai equilibrato, grazie specialmente alle strepitose prove attoriali del cast (in particolare dello stesso Fabrizi e di una meravigliosa Ave Ninchi), è l’evidente intento propagandistico che si legge in controluce a rischiare di suscitare qualche perplessità negli spettatori di oggi, sebbene a uno sguardo più attento anche questo venga riassorbito in una narrazione che risolve i conflitti in una fraterna cooperazione riunente i due popoli in un metaforico abbraccio. C’è anche da dire che in quegli anni il governo argentino promuoveva l’immigrazione dei lavoratori italiani e non avrebbe quindi acconsentito a co-produrre un’opera il cui animo non fosse, seppur realistico, profondamente ottimista.
“Un evaso ha bussato alla porta” e lo spirito del cinema sociale americano
George Stevens raccoglie tutto con la naturalezza e l’apparente semplicità che solo la Hollywood classica sa regalare, in un cinema dove oltre la superficie e oltre la risata risiede una profondità di pensiero spiazzante. Stevens non era un radicale ma era estremamente patriottico nel senso migliore del termine: convinto che lo spirito degli Stati Uniti e che il sogno a stelle e strisce risiedesse in primis nella buona volontà delle persone. Una volontà che non è innata ma che può e deve essere costruita nonostante tutto. In The Talk of the Town c’è tutto questo, e sebbene il triangolo amoroso sembri rubare la scena, come un po’ vuole la regola, è certamente l’aspetto socio-politico ciò che davvero rimane.
“Ho sognato un angelo” e l’identificazione del destino
Penny Serenade è un film sulla famiglia, ma soprattutto è un grande film sul lutto, qui affrontato con una sensibilità difficilmente comparabile. Stevens riflette sul tema della morte e su quello della sua accettazione e medita sul tema dell’amore e del donare affetto. Il destino dei protagonisti è infausto, ma questi trovano in qualche modo la forza per ricominciare. Durante il loro percorso Julie e Roger devono affrontare molte prove, ma non sono da soli. Infatti in loro soccorso si presentato puntualmente due figure bellissime, quella della signora dell’orfanotrofio che vede la purezza della coppia e soprattutto quella dell’amico e “zio” Applejack. Questi aiutano a mantenere il difficile equilibrio tra le diverse tonalità emotive che attraversano il film.
Da Lionel a Michael Rogosin. Il documentario che non finisce mai
Rogosin è tra i primi autori bianchi a occuparsi esplicitamente della realtà nera e la lotta per i Diritti civili negli Stati Uniti. Se Black Roots (1972) guarda alla coeva scena musicale black e al recupero della tradizione folk e blues per raccontare la nuova esperienza afroamericanista e Black Fantasy (1972) segue una coppia mista e la difficoltà di farsi accettare come marito e moglie, Woodcutters of the Deep South (1973) e il suo film più politico, un’inchiesta sulla The Gulf-Coast Pulpwood Association di Montgomery (Alabama), neonata cooperativa di taglialegna che vede uniti operai bianchi e neri al fine di tutelare i propri diritti contro le aziende che speculano sul lavoro e sulla sicurezza dei boscaioli.
Le piccole gemme di Winsor McCay
Ci sono tre piccole gemme nascoste nel grande scrigno del cinema muto d’animazione e lo dobbiamo al fumettista e illustratore Winsor McCay. Il papà di Little Nemo, serie a fumetti nata nel 1905 che illustra le mirabolanti avventure nel mondo dei sogni di Nemo, un bambino di cinque anni, si dà all’animazione traendo spunto da un altro suo lavoro a strisce e balloon pubblicato dal 1904 al 1913 intitolato Dream of The Rarebit Fiend. Il titolo è difficilmente traducibile in italiano (si azzarda con un “Sogni di un divoratore di crostini”): il Welsh Rarebit è una leccornia di origine gallese, una specie di crostino inzuppato nel formaggio fuso che crea una sorta di dipendenza e porta all’indigestione, mentre fiend significa “demone”, quindi “incubo”.
“Anatomia di un omicidio” nell’ingranaggio della società
si potrebbe quasi azzardare a definire Anatomia di un omicidio di Otto Preminger un film sul linguaggio. Un film sul linguaggio legale, giacché seguiamo appassionatamente la lotta oratoria tra Paul Biegler (James Stewart) e la pubblica accusa (della quale fa parte il perentorio procuratore interpretato da George C. Scott). Un film su un linguaggio “scabroso” e ostile all’America puritana, che fa fatica a considerare accettabili parole come “spermatogenesi” e “stupro” all’interno di un film quanto all’interno di un’aula giudiziaria, così come fa fatica a considerare il punto di vista di una donna che ha subito — e continua a subire — violenza fisica e psicologica per il suo sentirsi slegata da codici morali e sociali.
Tutto su mio figlio. “La Voleuse” e il teatro di Romy
Complici i dialoghi letterari di Marguerite Duras, la crisi di coppia di Julia e Werner al centro de La Voleuse viene osservata dalla macchina da presa di Chapot quasi come davanti ad un teatro filmato, il loro appartamento di Berlino, dove si svolge la maggior parte dei loro confronti, viene assimilato ad un palcoscenico. Talvolta i due sono inquadrati insieme, in posizioni statiche ai limiti dell’inquadratura, l’uno di fronte all’altra o di spalle ad eludere lo sguardo del partner. Altre volte, la macchina da presa si focalizza solo sulla Schneider.
“Laughter” tra Hemingway e Fitzgerald
Sebbene il film abbia una forte impostazione teatrale, anticipa la screwball comedy nella raffigurazione della dinamica della coppia formata da Nancy Carroll e Fredrich March. E nonostante la trama subisca eccessivi rallentamenti indirizzati al climax della storia, quest’ultima si regge su alcune idee originali che oscillano fra toni tragici e toni spassosi. La tematica dello sfarzo e quindi la lotta all’interno di Laughter tra i ricchi capitalisti e gli artisti squattrinati si sposa a quello che Ernest Hemingway in Festa mobile scrive dei giovani della cosiddetta generazione perduta: “Tutto rientrava nella lotta contro la miseria che non si vince mai se non spendendo. Specie se compri quadri invece che vestiti. Ma allora non ci consideravamo mai poveri. Era una cosa che non accettavamo. Ci consideravamo esseri superiori, mentre ricche erano altre persone che guardavamo dall’alto in basso e nelle quali giustamente non nutrivamo fiducia.”
Il cinema al femminile, plurale
Il programma di cortometraggi della rassegna Femminile Plurale propone tre film collegati da un filo rosso, quello dell’osservazione della gioventù in contesti problematici. In questi tre film traspare anche un altro elemento davvero interessante, cioè l’impronta militare data alle forme di aggregazione di questi giovani (per altro tutti uomini) necessaria per controllarli ma che finisce per modellarne l’atteggiamento spingendoli verso il machismo, la forza bruta e infine una sensazione di superiorità. Un’esperienza al limite del carcerario, che porta al distacco dalla vita reale, e dopo la quale non si ha più nulla da perdere.
“Marsina stretta” e il comico senso del contrario
Ascrivibile nel filone del film a episodi Questa è la vita nel 1954 chiamava a raccolta, per iniziativa del produttore Felice Zappulla specializzato nel campo, alcuni tra i registi più in voga dell’epoca (Pàstina, Zampa, Soldati) per questo genere di operazioni di cinematografia ispirata ai grandi classici della letteratura, quasi una letteratura “pret a porter”. Quattro episodi tratti da quattro novelle pirandelliane La giara, Il ventaglino, La patente e Marsina stretta. Il quarto ed ultimo episodio (il più lungo anche) fu affidato a Fabrizi che ne curò soggetto, sceneggiatura, interpretazione e regia realizzando forse la sua migliore prova da regista.
“Belphégor” al Cinema Ritrovato 2021
Il celeberrimo fantasma del Louvre spaventò davvero il pubblico (e come dar loro torto) di fine anni Venti e lo fece appassionare altrettanto, tanto che alla fine di ogni proiezione (“Belfagor vi aspetta settimana prossima per il terzo episodio!” recitava l’ultima didascalia in chiusura) molti spettatori si rivolgevano agli attori presenti in sala, supplicandoli di rivelare in anticipo chi si nascondesse sotto la spaventosa maschera dell’antagonista mascherato. Non era ancora tempo dei media digitali, d’altronde, non vi era pericolo di spoiler sui social media e i cliffhanger alla fine di ogni episodio facevano il loro dovere, caricando di una gran bella dose di suspense la lunga pausa settimanale tra un film e l’altro.
‘La scala di servizio’ al Cinema Ritrovato 2021
Inquadrare La scala di servizio all’interno di una corrente specifica è piuttosto complesso perché per certi versi esso è uno e trino. Figura centrale in questo quadro è Carl Mayer, personaggio estremamente versatile e alla continua ricerca di nuove soluzioni formali avendo sceneggiato in passato Il Gabinetto del Dr. Caligari e avrebbe poi lavorato con Murnau per opere fondamentali tra cui L’ultima risata ma anche in lavori avanguardistici come Berlino: Sinfonia di una grande città del 1927. Nel 1921 escono due opere fondamentali per la definizione del Kammerspiel cinematografico: La rotaia di Lupu Pick e, appunto, La scala di servizio. Quest’ultimo, però, mantiene ancora un contatto con l’espressionismo in alcuni elementi.
‘Il Federale’ tra dramma e risata
Un vero quadro in movimento che riporta il ventaglio di situazioni ed esperienze che hanno contraddistinto il paese, attraverso la struttura del racconto a episodi che si presta perfettamente alla complessità di questo contesto, come si era già visto in un film per altro molto diverso come Ladri di biciclette. Sono film come questo che testimoniano l’acuta osservazione e l’infinita creatività degli autori italiani di quegli anni e che hanno fondato la commedia all’italiana, quel preciso incontro di dramma e risata che ha reso unico il nostro cinema. Ed è un arricchimento costante per gli appassionati scoprire lo stesso ottimo equilibrio in decine e decine di film, a differenza da ciò che vediamo nel cinema italiano odierno. Traspare l’urgenza dei temi, ma ancor di più l’ingegno della scrittura nel condensare numerosi elementi, tutti importanti, dando ad ognuno il giusto peso all’interno di una singola storia.
La rivoluzione sotto la pelle. “Watermelon Man” e il ribaltamento iconografico
Mettendo in ridicolo per la prima volta i comportamenti dei bianchi, l’operazione di Van Peebles assume un notevole valore simbolico: primo film prodotto dall’industria bianca che ne ribalta dall’interno la logica iconografica, inaugurando un processo di rinnovamento le cui conseguenze sono ancora più visibili nel cinema odierno. Una rivoluzione non certo silenziosa, piuttosto gridata a gran voce come sottende il finale che allude ai nascenti movimenti neri militanti, espressione di una coscienza sotterranea maturata nella Nazione e ora pronta a emergere.
“La donna del giorno” commedia della mancanza
Woman of the Year è una commedia che invecchia meglio di altre, la sua tematica è a suo modo vicina ai dibattiti contemporanei sull’equilibrio all’interno della coppia e sul ruolo dell’uomo e della donna che vengono costantemente parodizzati. Stevens dirige poi i suoi attori seguendoli all’interno delle scene e dona loro un palco dove possono esprimere sinceramente le loro emozioni più recondite. Così basta un primo piano su Tracy per cogliere la sua crescente irritazione per gli atteggiamenti della compagna o per l’estraniazione che prova all’interno della festa, quando tutti gli altri invitati non parlano inglese.
“Million Dollar Legs” e il piacere del comico
Il film è scandito da una frenetica serie di gag slapstick, meno raffinate ed elaborate di quelle di Keaton e più improntate verso la comicità alla Stan Laurel e Oliver Hardy e quindi alle cosiddette “torte in faccia” alla Mack Sennett. Così il protagonista di Million Dollar Legs è un onesto lavoratore come il personaggio di Keaton, ma la chiave del film è nel ribaltamento, all’interno del testo, della condizione ordinaria di un mondo già di per sé straordinario perpetrato dall’insieme dei personaggi, che è avvicinabile alla comicità dei fratelli Marx. Questo si deve soprattutto alla scrittura della sceneggiatura ad opera di Joseph L. Mankiewicz, che si sposa bene alla regia di Eddie Cline.