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“Come le foglie al vento” e la magnifica ossessione della ricchezza infelice

L’intera pellicola è infatti attraversata dai due elementi che compaiono subito nel prologo: una sotterranea seppur evidente vena di erotismo e un senso opprimente di tragico destino. Sullo sfondo rimane inoltre il tema della ricchezza portatrice di infelicità, argomento molto caro a Sirk, che solo due anni prima, nel 1954, ne aveva fatto la materia principale di Magnifica ossessione. “C’era una volta un povero ragazzo ricco” fa dire il regista a Marylee mentre si prende gioco del fratello. Ma se il denaro rimane un indelebile peccato originale, è l’irrecuperabilità del paradiso perduto a importare.

“Jacques Tati, Tombé de la lune” e la ricerca della perfezione

Non è tanto il talento, quanto l’ossessione a distinguere i grandi dai grandissimi. C’è una filmografia in continuo divenire pronta per sostenere questa affermazione, e il documentario di Jean-Baptiste Péretié ci si iscrive a pieno a titolo. Il genio di Jacques Tati risulta talmente abbagliante da renderlo difficile da raccontare, ed è per questo che il regista francese lo libera attraverso le immagini del suo cinema relegando la storia a commento interpretativo. 

“Crazy to Marry”: una mimica fra circo e vaudeville

L’umorismo di Crazy to Marry è per lo più fondato sulle gag relative all’aspetto fisico di ‘Fatty’ Arbuckle e alla mimica, sua e di Lila Lee, a metà fra circo e vaudeville. Il personaggio del dottor Hobart Hupp vede nel corso del film una crescita progressiva: all’inizio sembra innocuo e non particolarmente arguto, ma sul finale, portato all’esasperazione dagli eventi, diventa finalmente un essere capace di astuzie. Questo tuttavia non basta a far percepire il film come particolarmente esilarante. Si potrebbe anche pensare che, blasfemamente, il suo elemento di maggior intrattenimento siano le eccessive didascalie di dialogo.

“Protéa” e le avventure del trasformismo

Prima di Musidora e Pearl White un’altra stella illuminava il cinema d’avventura: Josette Andriot. Il Cinema Ritrovato 2022 porta sul grande schermo le avventure di Protéa (1913), una intraprendente spia alle prese con un caso di sicurezza nazionale. Siamo nel regno di Messenia e i due paesi vicini, Celtie e Slovonia, hanno firmato un trattato segreto che potrebbe avere conseguenze pericolosissime per il paese. Chi se non la giovane spia potrebbe scongiurare il pericolo? Assieme al compare Anguilla, Protéa si infiltrerà con mille travestimenti e colpi di scena all’interno del regno nemico per recuperare il documento.

“Aschenputtel” e l’animazione in silhouette di Lotte Reiniger

Sfidando le dure leggi dell’avvento del sonoro, la creatività di Lotte Reiniger trova nell’accompagnamento parlato e musicale un incentivo per continuare a raccontare storie e fiabe incantate tramite l’uso della silhouette, vero e proprio marchio di fabbrica. La Reiniger si dedicherà per tutta la vita alla produzione di trasposizioni di fiabe, racconti e novelle senza tempo adoperando un paio di forbicine da ricamo, un grande tavolo di lavoro illuminato dal basso e delle silhouette di cartoncino e piombo, animate poi fotogramma per fotogramma tramite l’ausilio di pinzette.

“Ménilmontant” e la lieve ma indelebile traccia di Kirsanoff

Nel cinema francese di fine anni Venti c’è un piccolo spazio dedicato al film indipendente e sperimentale di matrice tendenzialmente impressionista. Indagando meglio tra nomi come Jean Epstein, Abel Gance e Louis Delluc, spunta il caso di Dimitrij Kirsanoff, autore di origine estone destinato a lasciare negli ultimi anni di cinema muto una traccia lieve, ma indelebile. Kirsanoff impara in Francia il mestiere del cineasta, dopo essere fuggito dalla terra natia intorno al 1920. Non si avvale della collaborazione di nessuna casa di produzione o di grandi nomi, scrive da sé i soggetti, si occupa del montaggio e predilige un metraggio medio-basso, una distribuzione ridotta e l’impiego di attori perlopiù sconosciuti.

“Il conformista” e la strategia del labirinto

Ne Il conformista il conformismo viene “de-conformato”, la struttura lineare del romanzo di Alberto Moravia (da cui è tratto il film) viene riadattata in flashback; la regia di Bertolucci, tra una carrellata e l’altra, si fa obliqua, decentrata e piena di vuoti. La struttura è labirintica, l’apparato psicanalitico, il mito della grotta di Platone allucinato. Infine la storia occultata, i peccati commessi (“tutti” dice Marcello a un prete in confessionale) affibbiati, il passato tradito, se stessi rinnegati. Un capitolo intero della storia di un paese attuato con ferocia e disconosciuto con immediatezza.

“Ieri, oggi, domani” e il realismo “de core” all’italiana

Dal carosello napoletano in cui annaspa la “sigarettara” Adelina, di gravidanza in gravidanza, all’episodio on the road lungo la Milano-Laghi, fino all’iconica storia di Mara, prostituta d’alto bordo in cerca di redenzione, il film crea una vivida rappresentazione della vita urbana del belpaese, passando dal colore acceso partenopeo al manierismo romano (a cui una mano hanno dato Giuseppe Rotunno con le sue cartoline capitoline e la straripante Sophia Loren che manda in estasi Mastroianni sulle note di Abat-Jour nella celebre scena dello striptease). 

“Ludwig” e la tradizione del cinema totale

La storia di Ludwig e la letteratura critica che ne sono seguite necessitano di un riassunto. Ecco la formidabile lettura di Peter Von Bagh (“Dopo aver raccontato la transizione dal capitalismo al fascismo e la grande crisi europea che l’ha preceduta, Visconti scende in un ‘crepuscolo degli Dei’: questo è cinema totale, originalissimo e allo stesso tempo nobile e ispirato proseguimento di una grande tradizione”) seguita dalla ricostruzione della storia del film.

“Tommy”, poesia dissacrante dall’estetica ultra pop

Ken Russell era indubbiamente la persona perfetta per dirigere Tommy, capace di imprimere nel concept album di Pete Townshend la sua poetica dissacrante e un’estetica ruvida quanto onirica e ultra pop. Già regista di diverse originalissime biografie su compositori classici, i motivi che lo spinsero ad accettare il progetto furono la vicinanza della trama ad una sua sceneggiatura irrealizzata, The Angels, sul tema delle religioni fraudolente, e la possibilità di creare un «visual fist». Ha avuto ragione su entrambi i fronti.

“Una giornata particolare”: divismo e biografia di una nazione

Come caratterizzare meglio il divismo se non con la differenziazione dalla massa che consuma poi l’immagine della star traendone piacere? In modo davvero azzardato e rischiando l’accusa di sminuire un film così potente dal punto di vista civile e politico, possiamo caratterizzare Una giornata particolare come una riflessione sul divismo e una celebrazione dello status di star di Sophia Loren. Ma in questo caso il divismo diventa anche politico perché celebra la lontananza dalle immagini divistiche fasciste del cinema dei telefoni bianchi, contribuendo alla forza civile del film. 

“Tenebre” di cinema allo stato puro

Tolto il piacere puramente cinefilo del cogliere i riferimenti nascosti, Tenebre rimane un’opera intrisa della forte riconoscibilità autoriale di Argento. Tornano scelte registiche che hanno fatto scuola, come la soggettiva dell’assassino e l’ossessiva valorizzazione del dettaglio, il depistaggio dello spettatore ottenuto manipolando la visibilità del materiale narrativo, la rappresentazione unica di una Roma fantasmatica. Le opere di Argento sono cinema allo stato più puro perché impossibili da esprimere con altri mezzi comunicativi, e ogni occasione di visione in sala va quindi colta al balzo.

“Nella morsa” della passionalità schiacciata

Sebbene il titolo – Caught in originale – possa lasciare presagire una buona dose di suspense, l’intreccio effettivo ruota attorno a un triangolo amoroso fra una giovane sposa ingenua, un ricco imprenditore possessivo e un pediatra di buon cuore. Adattata dal romanzo Wild Calendar, è una storia che sarebbe potuta scadere in una successione di stucchevoli soliloqui romantici, colmi di un’emotività che non trapassa i bordi dello schermo. La passionalità di Nella morsa è invece schiacciata, annichilita dal gelido cinismo di personaggi succubi delle proprie manie o del ruolo impostogli.

“Ihre Majestät die Liebe” al Cinema Ritrovato 2022

Ihre Majestät die Liebe è una commedia che, a distanza di tempo, conserva il suo brio e celebra il rapporto tra il moderno capitalismo e la vita notturna tedesca: fiumi di spumante scorrono in ogni dove, gli abiti, anche i più umili, sono sempre sfarzosi, i palazzi e il loro arredamento sono estremamente moderni. Il film mostra una Germania che di lì a poco non ci sarebbe più stata. Molti membri del cast e della produzione erano di origine ebrea e dopo la presa del potere da parte dei nazisti furono costretti a lasciare il paese e Otto Wallburg e Kurt Gerron morirono nei campi di concentramento.

“Tu m’appartiens!” al Cinema Ritrovato 2022

Rudolf Klein-Rogge (il mitico Dr. Mabuse) e Francesca Bertini; echi de i Miserabili di Hugo conditi da un’atmosfera noir. Tu m’appartiens! è una delle riscoperte del Cinema Ritrovato, un film che fin dai primi minuti riesce a catturare lo spettatore che si ritrova di fronte a domande infinite che faticano a trovare risposta. Chi è il protagonista e perché è ricercato dalla polizia? Chi è la donna che gli sta dando la caccia? Farà parte anche lei della polizia? E l’uomo misterioso che pattuglia i dintorni è amico o nemico?

“Carmen” con parvenza realistica. Francesco Rosi e l’opera di Bizet

Rosi realizza un film-opera molto fedele all’opera di Bizet, fondato su un buon connubio tra musica e immagine e lo ambienta in una Spagna solare, aiutato dalla bella fotografia plastica e dai toni caldi di Pasqualino De Santis. Infatti Rosi ricostruisce e conferisce una parvenza realistica alle diverse scene come quella della manifattura di tabacco dove Carmen e le altre donne lavorano. Lì si può notare l’enorme quantità di bambini, presenti in scena, che le madri affannate, accaldate, ma potenziali seduttrici come le altre, erano costrette a portare con sé.

Addio Zio Tom. “Non predicare…spara!” di Sidney Poitier

Non è casuale che Poitier scelga di cimentarsi con il western, genere per eccellenza dedicato all’elegia della nazione e alla celebrazione del suo mito fondativo, mostrandone però un altro aspetto, più oscuro, violento e volutamente omesso dalla narrazione dominante a partire dalla rappresentazione di cowboy neri, storicamente stimati come un quarto dei mandriani statunitensi ma totalmente assenti dall’immaginario hollywoodiano. Le peripezie dell’ex-sergente Buck e del Predicatore, impegnati nel condurre un gruppo di schiavi liberati esuli dalla Louisiana al Kansas, sono un chiaro riferimento alla condizione dei neri americani del tempo.

Ritorno a Peter Lorre. “M” e l’ombra del mito

Ci facciamo accompagnare da due studiosi internazionali alla riscoperta di Peter Lorre e di uno dei suoi film più celebri. Omaggiato dal Cinema Ritrovato 2022, Lorre può essere considerato – secondo Alexander Horwath – “un uomo perduto, una stella errante nella galassia delle icone del cinema: allontanandoci dalle sue false promesse per attirarci in un mondo di disagio, ci ha offerto una rappresentazione tra le più fedeli dell’uomo del Novecento. La sua personalità fuori e dentro lo schermo è il risultato frantumato di un percorso che ha attraversato il modernismo e i fascismi europei, la tossicodipendenza e l’esilio, la cultura del denaro e la fama: in essa si riflettono volti e maschere del suo tempo”.

“I guerrieri della notte” tra culto e immaginario

I guerrieri della notte anticipa l’immaginario degli anni Ottanta, pur essendo prodotto anagraficamente ancora nel decennio precedente, ed è anche questa sua lungimiranza a renderlo così importante. L’immagine livida e violenta di una New York allo sbando c’era già nei seventies, in film come Il giustiziere della notte, ma era rappresentata in modo diverso: è proprio con I guerrieri della notte che si entra dritti negli anni Ottanta, fra giubbini di pelle, occhiali da sole, graffiti, cappelli da baseball, volti dipinti e costumi bizzarri e coloratissimi. Anzi, non è azzardato dire che sia proprio questo cult-movie di Hill a definire in modo sostanziale l’immaginario cinematografico e popolare degli anni Ottanta.