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“Lynch/Oz” e la moltitudine di sguardi

Lynch/Oz, una vera e propria esegesi critica di Alexandre O. Philippe. Ambasciatore del film-saggio (dalla “scena della doccia” in Psycho al rapporto contorto che intercorre tra George Lucas e i suoi fan), Philippe emerge dall’ultima fatica sulla Monument Valley e il suo ruolo nella storia del cinema per un documentario decisamente ambizioso. Sì, perché come sempre accade con i lavori “cinemaniaci” di Philippe, Lynch/Oz finisce per sconfinare e diventare un irresistibile compendio sull’eredità morale ed estetica de Il Mago di Oz nella cinematografia contemporanea.

“Il mago di Oz”, Dorothy e la child woman

Una lettura metacinematografica del Mago di Oz può chiarire che la nostalgia verso un vecchio modo di fare cinema è la chiave per comprendere il personaggio: Judy Garland segna la fine dell’epoca della child-woman, ovvero della donna che recita la parte di una bambina. Quando Judy Garland, travestita da bambina per impersonare Dorothy (e quindi perfidamente defraudata del suo potenziale erotico), intona una suadente Over the Rainbow, l’associazione tra la voce e la fonte sonora crea un bizzarro cortocircuito. 

“Il mago di Oz” visto con i miei figli

 

Oggi proponiamo un articolo un po’ diverso. Va bene affrontare criticamente, e attraverso materiali storici, il restauro di Il mago di Oz, ma in fondo noi adulti siamo in grado di comprendere se e come questo film può ancora parlare alle nuove generazioni? Abbiamo chiesto a Francesca Divella di fare un esperimento famigliare, dove cinefilia e stupore infantile si mescolano tra loro. Questo il (soddisfacente) risultato.