Quest’anno Cinefilia Ritrovata, anche grazie a uno staff critico rinnovato e giovane, segue day by day la parte cinematografica di Arte Fiera, cominciando oggi con l’anteprima del nuovo film di Peter Greenaway. Lo aveva già fatto una volta, Greenaway, di raccontare la storia di un grande artista olandese con quel Nightwatching del 2007 incentrato sulla vita di Rembrandt. Ora, grazie a Lo Scrittoio e Maremosso, possiamo finalmente vedere in Italia l’ultimo lavoro del regista inglese, datato 2012, dedicato ad un altro gigante dei Paesi Bassi: l’incisore Hendrik Goltzius. Presentato fuori concorso alla settima edizione del Festival Internazionale del film di Roma (e dopo la non convenzionale distribuzione in alcuni teatri a ottobre scorso), Goltzius and the Pelican Company approda (in lingua originale sottotitolata) ad Arte Fiera 2015 (23-26 gennaio).

Goltzius (Ramsey Nasr) vuole convincere il Margravio d’Alsazia (F. Murray Abraham) a finanziare e pubblicare una sua serie di opere illustrate. Il mecenate accetta a patto che la Compagnia del Pellicano, di cui Goltzius è impresario, metta in scena sei episodi biblici che rappresentano sei tabù legati al sesso.

La storia ci viene narrata in prima persona da un Goltzius diverso nell’aspetto da quello che vedremo nell’enorme flashback che costituisce il cuore del film, che è infatti narrato al passato. Sembra che il protagonista voglia darci una sua versione dei fatti, ingiustamente travisati e tramandati dal potere che, come si sa, da sempre decide come ricordare ogni cosa. Affastellando la narrazione di quando in quando con digressioni sulla storia dell’arte (vere e proprie brevi lezioni), Goltzius/Greenaway vuole portarci dalla sua parte a tutti i costi. Vuole farci ragionare insieme a lui sull’ottusità dei potenti di tutte le epoche di non ammettere erotismo e carnalità nell’arte soprattutto quando si tratta di rappresentazioni sacre. È un continuo mostrare nudità, sentirsi dire: “È volgare!” e rispondere: “Ma è così che è scritto nella Bibbia!”.

Chi non conosce Greenaway rimarrà quantomeno spiazzato dal’eccentricità dell’impatto visivo. È un ibrido di tecniche di rappresentazione vecchie e nuove quello che vediamo sfilare davanti ai nostri occhi. Va detto che non sempre la miscela funziona (a volte pare il menù principale di un DVD) ma l’effetto è comunque impressionante e la continua oscillazione tra ieri e oggi, tra quadro e immagine digitale, sembra voler suggerire che ciò che ha da sempre interessato (e che ancora interessa) le arti è vincere il pudore instillato da religione e morale per veder esplodere la libertà di mostrare la verità materiale delle cose. La scelta degli attori in questo senso è perfetta: le natiche rotonde, i genitali con poca peluria, le curve giunoniche, tutto sembra uscito da quadri del Cinquecento. Ma non vi è mai l’intento di placare i nostri istinti pruriginosi (di cui invece sono preda i cortigiani d’Alsazia). Nell’esposizione dei corpi non c’è morboso voyeurismo, anzi, attraverso essi Greenaway rende onore all’arte di Goltzius, il quale utilizzò la nudità per creare una vera e propria “poetica del sensuale”.