Andrea De Vinco
“L’ultimo spettacolo”, un turbinio di anime tra passato e futuro
Che vento forte soffia ad Anarene. Proviene dal passato, si rinforza nelle vuote vastità del Texas e tira dritto verso un futuro da scrivere con estrema difficoltà. Sta sicuramente soffiando anche in questo momento e continuerà a farlo senza che nessuno possa del tutto sfuggirgli. I personaggi del film di Bogdanovich trovano riparo in piccoli avamposti per arginarne l’impeto, ma si finisce per imparare molto presto che il vento fa il suo giro e ritorna sempre sui suoi passi. Nel turbinio, c’è chi prova a diventare grande e chi combatte l’avanzata incessante del tempo. Con una meticolosa fotografia in bianco e nero, un’influente colonna sonora dalle tinte country e western e una recitazione d’insieme piacevolmente uniforme, L’ultimo spettacolo è allo stesso tempo un’elegia per il passato e un monito per l’avvenire.
“La regola del gioco” e la necessità di organizzare l’improvvisazione
Servono poco più di 20 minuti a Jean Renoir per rivelare La regola del gioco: ognuno ha le proprie ragioni. Sedersi al tavolo senza essere adeguatamente preparati o accettarne i meccanismi può risultare fatale, un po’ come accaduto al pubblico che ebbe la (s)fortuna di guardarlo nelle sale nel 1939. Su trentasette recensioni contemporanee all’uscita, quattordici erano ostili, sei ambivalenti, sei favorevoli con riserve e cinque quasi del tutto favorevoli. Messi di fronte ad una verità demistificata, talmente candida da essere bruciante, i critici e gli spettatori non accettarono di vedere il mondo a cui avevano tacitamente aderito privato di una incosciente edulcorazione.