Amer e Raghda si sono visti per la prima volta attraverso un buco nel muro di una prigione siriana. “Come va?” ha chiesto Amer. In risposta ha sentito solo il suono della voce di una donna; ha forse intravisto o immaginato il colore dei suoi occhi e dei suoi capelli. I due, imprigionati perché si erano opposti al governo di Assad, usciti dal carcere si innamorano, costruiscono una famiglia e hanno dei figli. Ma questa non è una garanzia di felicità e di sicurezze e con l’arrivo della primavera araba Raghda viene arrestata di nuovo e poi esiliata in Francia.

Sean McAllister ha seguito per cinque anni l’odissea di Amer, di sua moglie e dei suoi figli, facendosi spazio tra le mura delle case che la famiglia ha dovuto cambiare: prima in Siria, poi, dopo la prigionia del regista, incarcerato per alcuni giorni, si spostano in Libano, sino all’approdo in Europa. A syrian love story segue a rotta di collo questo viaggio in fuga da una terra macchiata di sangue e di violenza; raccoglie dentro di sé una moltitudine di sentimenti umani: amore e perdita, abbandono e sofferenza.

Presenza certa in uno spazio intimo e privato, McAllister si muove con la telecamera sempre tra le mani. Non possiamo restare indifferenti davanti a quest’epopea umana, dove i caratteri e i pensieri dei protagonisti si dipanano senza filtri minuto dopo minuto sotto ai nostri occhi. La forza dello stesso racconto ci fa dimenticare alcuni limiti formali del documentario, consapevoli che di storie così ce ne sono molte ma il difficile è riuscire a raccontarle. La voce fuoricampo è onnipresente e il regista interroga e domanda spesso quello che non ci si vorrebbe sentir chiedere o quello a cui non si sa dare risposta.

Il film si fa così chiara testimonianza di un rapporto e di un legame profondo, quello tra il documentarista e i protagonisti, basato su una fiducia che permette di riprendere tutto o quasi senza filtri e limitazioni. Un film sperto che, come la storia che racconta, si costruisce facendosi, mese dopo mese, anno dopo anno. La realtà di un paese lacerato e dolorante come la Siria ci viene restituita attraverso la voce dei suoi abitanti: A syrian love story racconta una famiglia e un popolo perduto, ucciso, ferito, un paese di cui sentiamo parlare qualche minuto ogni tanto in una striscia del telegiornale.

Vincitore del Premio Speciale a quest’edizione del Biografilm, il film ci spinge a riflettere su abusi di potere e regimi totalitari e sanguinari che costringono un popolo ad abbandonare la propria terra, verso la quale spesso si prova un legame viscerale e atavico; ce lo racconta attraverso i personaggi di questa famiglia che cerca di restare unita: dai figli al padre Amer, che si abituano alla nuova realtà francese, a Raghda, una donna divisa e combattuta tra il sentimento per i figli e quello per la sua patria, che la porterà a partire di nuovo, a combattere per la libertà.

Caterina Sokota