Silenced, anteprima italiana a Biografilm Festival nella sezione “Vite connesse”, racconta la storia di Jesselyn Radack, ex avvocatessa del dipartimento di giustizia, John Kiriakou, ex analista della CIA e Thomas Drake, ex ufficiale della NSA (National Security Agency). Queste persone hanno rivelato alla stampa verità molto “scomode” per il governo americano: il regista James Spione ci mostra come sono cambiate le loro vite dopo essere diventati dei “whistleblowers” (informatori).
Il titolo del film, la cui traduzione italiana sarebbe “messi a tacere”, è quindi emblematico di ciò che i tre protagonisti racconteranno: Jesselyn Radack ha reso pubbliche delle email dalle quali risultava una violazione etica da parte dell’FBI nei confronti di John Walker Lindh (catturato nel 2001 durante l’invasione in Afghanistan degli Stati Uniti); John Kiriakou è stato il primo agente della CIA ad aver confermato pubblicamente l’uso della tortura durante gli interrogatori di presunti terroristi;
Thomas Drake ha denunciato lo spionaggio illegale del governo nei confronti dei cittadini americani. Dopo l’11 settembre 2001 il governo americano ha focalizzato tutte le energie nella lotta al terrorismo. La famelica raccolta di dati al fine di scovare i colpevoli ha tacitamente legalizzato ogni forma di controllo da parte del potere costituito. L’interrogativo che sorge spontaneo dopo la visione del documentario è: a che prezzo? I tre protagonisti, che a causa del loro lavoro sono venuti a conoscenza di informazioni pericolose, si sono trovati a fare i conti con la loro coscienza. Tacere o rivelare tutto? Tutti e tre hanno scelto la via più impervia e hanno parlato, probabilmente non completamente consapevoli della portata del polverone che avrebbero sollevato.
Nell’arco del documentario si percepisce il rammarico e la costernazione di queste persone che, credendo di agire per il meglio, si sono ritrovate ad essere licenziate, spiate, pedinate, perseguite penalmente: la loro vita non tornerà mai più come prima. Sfruttando l’Espionage Act del 1917, una legge federale da sempre contestata per la sua natura controversa (avvallerebbe la politica della segretezza, creando potenziali limitazioni alla libertà di parola) il governo trasforma gli informatori in nemici del loro stesso Paese, accusandoli di spionaggio.
Il regista, introducendosi nelle case di Jesselyn, John e Thomas, ci fa vedere anche i retroscena di queste vicende, mostrandoci i pesanti effetti collaterali sul versante privato delle loro vit. Non sono solo le carriere ad andare in fumo, ci sono matrimoni che finiscono, aborti spontanei: lo stress al quale questi informatori sono sottoposti è quasi insopportabile.
Nonostante la qualità delle storie, raccontate in prima persona dai protagonisti, il documentario in alcuni punti può risultare confusionario: le informazioni sono tantissime e non sempre c’è chiarezza sufficiente per seguire bene i tre casi. Magari un confronto parallelo con dei giornalisti esterni alle vicende avrebbe giovato, fornendo anche un punto di vista sulla reazione dell’opinione pubblica alle questioni affrontate. Il pregio più grande di Silenced è sicuramente la sua capacità di far riflettere lo spettatore. Sono tanti gli interrogativi che ci si pone dopo la sua visione, ma uno in particolare domina su tutti: ne sarà valsa la pena?
Barbara Monti