A pensarci oggi sembra impossibile, ma c’è stato un tempo in cui in Italia (e non solo) si poteva essere arrestati se trovati in possesso di un semplice giornaletto pornografico. A inizio anni Sessanta un giovane figlio di diplomatici, al secolo Alberto Ferro, meglio noto con lo pseudonimo di Lasse Braun, decise di provare a dare una svolta a questa tendenza e viaggiò per l’Europa, soprattutto in Paesi scandinavi come Svezia e Danimarca per portare in Italia quel materiale pornografico, secondo lui fondamentale per “la più grande rivoluzione culturale del nostro secolo”. L’obiettivo era fornire una notevole quantità di materiale pornografico così che, ad un certo punto, la legalizzazione diventasse inevitabile.

Il film di Carmine Amoroso comincia presentando questo singolare personaggio, che riuscì nell’intento di far abolire la censura sulla rappresentazione della sessualità, cancellando il reato di “oltraggio al pudore”. Cominciò a girare film porno nel momento in cui le lotte per l’emancipazione e la rivoluzione sessuale erano al centro del dibattito internazionale e influenzò autori di genere, come Gerard Damiano (autore di Deep Throat) o l’italiano Joe D’Amato (pseudonimo di Aristide Massacesi). Suo grande obiettivo e merito sarà portare, nel 1974, il primo film hard al Festival di Cannes: French Blue.

Un documentario composto da preziose interviste, immagini di repertorio, frammenti di pellicole hard, note  o meno, ma anche un film d’animazione firmato Sinè, figura storica del giornale satirico Charlie Hebdo. Il tono generale è divertente e provocatorio, ma efficace a trasmettere il ruolo che la pornografia ha ricoperto nella svolta sociale e politica in atto in quei leggendari anni. Un tempo in cui gli attori in gioco si chiamavano Riccardo Schicchi, Ilona Staller in arte Cicciolina, Judith Malina e il Living Theatre, Andrea Pazienza, Mario Mieli, Marco Pannella e Giuliana Gamba. Le loro storie e testimonianze sembrano volerci dire che se oggi è possibile dar tutto ciò per scontato lo è solamente in seguito alla battaglia che questi personaggi hanno condotto contro l’autorità conservatrice, che li ha osteggiati, denunciati, processati e a volte condannati, come è successo ad esempio a Riccardo Schicchi.

Inevitabilmente si viene a contatto con la censura, la rappresentazione del sesso non è prerogativa del cinema di genere pornografico, ma, in quegli anni cominciava ad essere ben presente anche all’interno di pellicole d’autore. Gli esempi sono celebri, il Pasolini della Trilogia della vita e in seguito di Salò, il Marco Ferreri de L’ultima donna e il Bernardo Bertolucci di Novecento e Ultimo Tango a Parigi, tacciato di “esasperato pansessualismo fine a se stesso”.

Dopo un’interessantissima panoramica storica, il film compie un ampio salto in avanti, fino al Mi Sex del 2013 riflettendo su come, al giorno d’oggi, si concepisce il porno, in maniera annoiata e superficiale, diversamente da quanto accadeva negli anni ‘60/’70, anni in cui l’infrazione di tali barriere era necessaria ai fini di un emancipazione politica, sociale, sessuale e soprattutto individuale.

Stefano Careddu