Jonas Mekas ha dichiarato, quando ha saputo della morte di Chantal: “Non so se sia giusto dire che il suo cinema è stato influenzato dal mio e dal cinema d’avanguardia americano. Certo lei aveva una combattività, una maniera così diretta di fare le cose…tutto il suo lavoro oggi è come un immenso film epico di cui si possono legare insieme le tante parti”. Le frasi di Gus Van Sant le lasciamo in francese, come comparse nel bel ricordo di “Libération” dove è possibile trovare una dozzina di testimonianze importanti: “C’est la découverte de Jeanne Dielman qui m’a incommensurablement marqué quand j’étais étudiant en cinéma. Je le revois souvent depuis, chez moi, et je reste stupéfait des frontières qu’elle explose dans ce film, ce qu’elle y invente en termes de narration, de rapport au personnage. Quand j’ai fait des films commeGerry, Elephant et Last Days, cela a constitué pour moi une influence plus qu’essentielle: il y avait pour moi Béla Tarr et Chantal Akerman”.Chantal Akerman ha deciso di andarsene e non si contano le testimonianze cinefile sul web e sui giornali. Quelle citate sopra sono solo alcune delle dichiarazioni più commosse. Noi di Cinefilia Ritrovata piangiamo la grande regista insieme alla Cineteca di Bologna, che durante Il Cinema Ritrovato ha presentato il restauro di Jeanne Dielman. Così scriveva Nicola Mazzanti del film: “Tre giorni della vita di una donna, una vedova che vive con il figlio adolescente e si prostituisce in casa per sbarcare il lunario. Il ritmo e i rituali della quotidianità, immutabili, finché non cambia qualcosa.
La donna è Delphine Seyrig, eterea e sofisticata icona dalla bellezza quasi irreale, indimenticabile presenza di film quali L’anno scorso a Marienbad, Baci rubati, Peau d’âne, Il fascino discreto della borghesia. Perfetta in contro-ruolo come prostituta di mezz’età, si direbbe, ma di fatto assolutamente splendida nei panni di un personaggio che aveva voluto interpretare a tutti i costi: ‘con lei’, dice Akerman, ‘Jeanne uscì dallo schermo e prese vita’. Dietro la macchina da presa c’è Chantal Akerman con il suo stile unico e intransigente (campi lunghi indimenticabili, perfettamente inquadrati e calcolati, immagini fisse come bassorilievi… è tutto assolutamente impeccabile) che si avvale di uno dei migliori direttori della fotografia di quegli anni, Babette Mangolte. Insieme costruirono un preciso universo di colori (quei verdi, quegli azzurri, quei marroni!) e ombre profonde che risultano al contempo belle e angoscianti”.

Qui Bruno Marino ricorda il suo ritorno al cinema sperimentale dagli anni Duemila. Qui l’addio di Peter Bradshaw sul “Guardian”. Ed ecco alcune parole di Janet Bergstrom (in inglese) su “Sight and Sound”: “Akerman the filmmaker came of age at the same time as the new age of feminism, and her films became key texts in the nascent field of feminist film theory. Feminism posed the apparently simple question of who speaks when a woman in film speaks (as character, as director…); Akerman insisted convincingly that her films’ modes of address rather than their stories alone are the locus of their feminist perspective. The many arguments about what form a ‘new women’s cinema’ should take revolved around a presumed dichotomy between so-called realist (meaning accessible) and avant-garde (meaning elitist) work; Akerman’s films rendered such distinctions irrelevant and illustrated the reductiveness of the categories”.

Per chi vuole ulteriormente approfondire: Qui una raccolta di studi su di lei. Qui un bell’articolo “Akerman for beginners” proposto dal BFI. Qui il ricordo di J. Hoberman per il “New York Times”. Qui lo speciale Akerman della rivista “Lola”. E soprattutto a questo link, una straordinaria serie di link a saggi, interviste, video e materiali curata da Catherine Grant.