Tratto dal romanzo di Shichirō Fukazawa, Narayama Bushiko racconta la storia di Orin, un’anziana donna e di una peculiare tradizione del suo villaggio. In questo luogo senza tempo perduto tra le montagne, a tutti quelli che abbiano compiuto settant’anni spetta l’onere di ritirarsi sulla montagna di Narayama, ad attendere la morte. La recitazione teatrale è accompagnata da una narrazione cantata con sottofondo musicale sulla caratteristica scala pentatonica. L’uso della scenografia fa dubitare di trovarsi su un set, che si adatta al susseguirsi delle stagioni. Diversamente, le luci cambiano colore e vengono usate come veri e propri fari teatrali. I rami degli alberi fungono da apertura di sipario, gli sfondi colorati vengono fatti cadere per aprire la scena su un nuovo fondale.

Orin è una donna generosa, capace e responsabile che ha a cuore il benessere di chi le è dipendente. Nell’anno d’attesa al suo viaggio trova una nuova moglie al figlio vedovo, cui passa le sue conoscenze. È estremamente rispettosa delle tradizioni, è consapevole del proprio ruolo ed ha un grande senso dell’onore: pur di non ritrovarsi davanti agli dèi di Narayama con i denti sani che le  avevano permesso fino a quel momento di mangiare come da giovane, e per i quali veniva schernita, provvede da sé a romperli. Nama-yan è il caso speculare contrario del caso. L’uomo rifiuta di cedere al destino, vive come un parassita per la propria famiglia, che alla fine smette di fornirgli cibo. Il suo personaggio permette di capire il perché della necessità del sacrificio degli anziani viste le poche risorse.

Il viaggio a Narayama ha un valore pratico ed uno ascetico. L’anziano che lascia il povero villaggio permette l’ingresso e l’inizio di una nuova vita. Sono i figli ad avere il compito di portare i genitori sulla montagna dove, una volta giunti, non potranno più rivolgersi la parola, poiché parte del processo richiede che il legame dell’anziano con i cari sia sciolto in funzione di un migliore passaggio nell’aldilà.

I codici della cultura collettivista spostano radicalmente lo sguardo dello spettatore occidentale su una realtà diversa, la situazione distopica viene gestita da Orin e, si suppone, dai propri predecessori, con grande delicatezza e praticità. Lascia in eredità le sue conoscenze e non si guarda indietro.

Eugenia Carraro