“L’insieme del film è un po’ Maupassant e addirittura Marcel Proust. Ma l’abilità del narratore cinematografico, l’economia dei dialoghi e dei gesti salvano tutto. Ogni secondo ha forza senza ricorrere a una ‘trovata’, con una maestria davanti alla quale ci s’inchina”. Queste furono le parole di Jean Cocteau per definire La provinciale, film che lo stesso Soldati considerava il suo migliore, primo adattamento di un’opera di Alberto Moravia.
Gina Lollobrigida veste meravigliosamente i panni di Gemma, giovane donna innamorata dell’amico d’infanzia Paolo (Franco Interlenghi). La speranza del matrimonio, oltre all’idillio amoroso, andrebbe anche a coronare i sogni di ascesa sociale della donna, figlia di una modesta locandiera. Quello che pareva dover essere un grande amore crollerà rovinosamente in un nulla di fatto e porterà Gemma a sposare il professor Franco Vagnuzzi, interpretato da Gabriele Ferzetti. La noia e l’incomunicabilità tra i coniugi, assieme a quel fremente desiderio di ascesa sociale che non si era mai spento, consentiranno alla grottesca, e viscida contessa Elvira Coceanu di manipolare e sfruttare Gemma.
Il film ha struttura anomala, non lineare: la prima scena raffigura l’epilogo della vicenda, poi raccontata frammentariamente attraverso tre flashback affidati a Paolo, alla madre e al marito Franco. Il denominatore comune di queste analessi è il rimorso che logora i personaggi, quel senso di colpevolezza per non essere stati capaci di comprendere le sofferenze di Gemma o per non aver agito a dovere nel momento in cui era necessario. In ultima istanza giunge la confessione finale della donna al marito che finalmente chiarisce quanto era rimasto enigma e la solleva dalla condizione di innocenza assoluta, sottolineandone la medesima superficialità e incapacità di comprensione del marito.
Sembra quasi che il regista operi il tentativo di confondere lo spettatore, cercare di non fargli capire le cose, introdurre quello che inizialmente potrebbe essere un dramma a sfondo amoroso, per poi svilupparlo in qualcosa di più complesso, relegando la delusione sentimentale (e lo stesso personaggio di Paolo) a prima scintilla di una concatenazione di eventi che porteranno Gemma a riversare violentemente tutta la sua esasperazione sulla contessa Elvira.
Un film incentrato sull’universo femminile, su rapporti tra classi nell’Italia degli anni ’50, dallo “stile elaborato, fatto di ampi piani-sequenza, un uso sofisticatissimo della musica e una profondità di campo che mette sullo stesso piano Gemma e i suoi ‘narratori’, rendendo impossibile giudicare l’una senza gli altri” (Emiliano Morreale)”.
Stefano Careddu