Ispirato alla vicenda delle sorelle Papin, due giovani domestiche che nel 1933 uccisero la padrona e sua figlia dopo aver subito per anni soprusi e ingiustizie, Les Abysses è l’esordio alla regia di Nico Papatakis, per molti un Carneade della storia del cinema, ma ad ogni modo capace di esordire nel 1963 con un’opera estremamente potente, arrabbiata e sardonica, a tratti quasi surreale e allo stesso tempo assolutamente concreta nella sua denuncia. Il film non vuole essere una cronaca più o meno realista e fedele del fatto di sangue a cui rimanda, che ebbe particolare eco in Francia anche negli anni e decenni a venire: viene per esempio cambiato il contesto – la famiglia borghese con padre avvocato della realtà diventa una famiglia di vignaioli – e soprattutto la luce viene puntata sugli aspetti più metaforici e sul significato più vasto della vicenda. Nel film le due sorelle, non pagate da anni e vittime di soprusi e violenze che vengono accennate gradualmente e con inquietante e sibillina ambiguità, si oppongono alla vendita del podere decisa dai padroni, sull’orlo del fallimento, decisione che comporterebbe il loro licenziamento. Les Abysses è un film che non dà, soprattutto all’inizio, precisi punti di riferimento; soprattutto perché è un film in cui i ruoli d’aguzzino e di vittima vengono – all’apparenza – continuamente scambiati tra i due “schieramenti”. È come se, scatenandosi, le crescenti e sempre più irrefrenabili follia e rabbia delle due sorelle aprissero il vaso di Pandora sia delle ingiustizie di cui le due sono state vittima, sia soprattutto della meschinità, ipocrisie, egoismi e cialtronerie dei tre membri della famiglia padronale.

Si crea così un gioco al massacro nel quale i ruoli vengono continuamente ribaltati, in un’ottica che, pur lontana dal manicheismo, si avvicina man mano che la narrazione avanza sempre più alla denuncia antiborghese (il film inevitabilmente creò numerose polemiche e dibattiti, e venne rifiutato da Cannes), arrivando anzi quasi ai confini della lotta di classe. Negli abissi in cui i personaggi rimangono irrimediabilmente impantanati, la carica d’odio reciproco diventa palpabile e la violenza quasi parossistica, e gli atti delle due sorelle paiono sempre più come una vendetta se non giusta, perlomeno ampiamente giustificabile. Les Abysses è però, nella sua crudezza e nella sua cupezza, anche un film inaspettatamente comico – meglio: ridicolo -, attraversato da una costante vena di malsana ironia, che aumenta parallelamente alla violenza e all’odio, e che colora il climax finale con le tonalità del grottesco.

La comicità è un altro modo sì per mettere sotto accusa le colpe pregresse della famiglia padrona (si veda come viene dipinto in molte sequenze l’inetto padre), ma soprattutto per rendere ancor più esasperata ed esasperante la situazione. Il regista greco naturalizzato francese gestisce la materia affidandosi ad una narrazione molto teatrale ed esaltando i volti sempre più isterici – numerosi ed importanti sono i primi piani -, le urla sempre più fragorose e i gesti sempre meno controllabili; e realizza un’opera di rara potenza, capace di essere più efficace di un film quasi coevo su un argomento molto simile: Diario di una cameriera di Luis Buñuel, realizzato l’anno successivo.

Edoardo Peretti