Marina di Malombra, rimasta orfana, viene accolta dallo zio Cesare d’Ormengo, il quale le impone una sorta di prigionia che durerà fino al momento in cui ella non troverà marito. La giovane sceglie di soggiornare in una stanza che tutti credono infestata dal fantasma della contessa Cecilia Varrega, confinata tra quelle quattro mura come punizione per una relazione extra coniugale con un giovane ufficiale di nome Renato. La lettura di un libro dal titolo “Fantasmi del passato”, il ritrovamento di alcune lettere della contessa e la conoscenza dello scrittore Corrado Silla sortiranno in Marina una lenta e inesorabile suggestione che la porterà a credersi la reincarnazione di Cecilia e a ordire le trame per uccidere lo zio.
La seconda trasposizione da un romanzo di Antonio Fogazzaro, seppur richiamando le ambientazioni lacustri del precedente Piccolo mondo antico, ne prende le distanze, soprattutto da un punto di vista stilistico: “gli esterni naturali diventano paradossalmente claustrofobici e, per una volta, la macchina da presa del regista si fa mobilissima e inquieta” , contromano rispetto al suo essere un “regista da macchina fissa”, figlio della lezione di John Ford. Quest’anomala mobilità della macchina da presa, che segue la marchesina vagare per le stanze del palazzo, che a volte abbandona i personaggi per assumere un punto di vista (apparentemente) più oggettivo, si fa specchio dell’ambivalenza e del delirio di cui è vittima Marina. Soldati disegna i suoi personaggi in modo ambiguo e, grazie a un continuo spostamento del punto di vista, lo spettatore non riesce mai a crearsi una solida opinione delle anime che popolano lo schermo: accade ovviamente con Marina, ma anche con il vecchio zio, inizialmente percepito come perfido carceriere, fino a divenire gradualmente vittima.
Malombra è un film che Mario Soldati non amava, soprattutto perché, dopo la precedente collaborazione, avrebbe voluto Alida Valli a vestire i panni della protagonista. Dovette invece ‘accontentarsi’ di Isa Miranda, che fece un provino meraviglioso, ma, secondo Soldati, non toccò mai più quel livello recitativo nel film. Come da più parti osservato, probabilmente la notorietà di Alida Valli non avrebbe reso possibile quell’ambiguità morale fatta di amore, vendetta e morte che rende Marina interessante; la naturale empatia provocata nello spettatore dalla diva “avrebbe probabilmente reso più umano il personaggio.”
I toni cupi e mortiferi, assimilabili al cinema gotico degli anni Sessanta, crescono per l’intero film fino ad esplodere nel pranzo funebre finale, scena dal grande impatto figurativo, caratterizzata dal suggestivo utilizzo dell’elemento sonoro, che va a suggellare l’esito positivo di quello che è stato il più lungo film sonoro girato in Italia fino ad allora.
Stefano Careddu