Una mano di Eddie Coyle ha quattro nocche in più. Qualcuno più importante di lui, dopo qualche circostanza sgradevole, gliela chiuse in un cassetto. Quando racconta l’aneddoto, un po’ lezione su come stare nella piccola malavita e un po’ orgoglio per essere comunque arrivato ai cinquant’anni con nonchalance, Eddie non fa vedere la ferita, lascia che l’interlocutore immagini il dolore della sevizia e, implicitamente, si sta ponendo al di sopra degli altri: la vita è un rischio e non tutti sanno giocare.
Sarebbe interessante setacciare gli archivi per cercare uno studio sulle mani di Robert Mitchum, dalle iconiche hate/love de La morte corre sul fiume alla recisione del mignolo in Yakuza, per capire quanto esse siano fondamentale nel discorso sul corpo dell’attore, nella costruzione di personaggi che attraversano lo schermo portando segni altrimenti indicibili. Ma, a parte il dettaglio anatomico, è proprio tutta la sua figura a segnare Gli amici di Eddie Coyle, a conferire al film il senso di un racconto terminale: nel ruolo titolare, l’attore si serve della sua conformazione fisica per restituire l’ansia di un uomo, prossimo ad una condanna certa per un crimine di cui si è assunto una colpa non suo, disposto a tradire i vecchi compari pur di garantire alla famiglia (e a se stesso) la prospettiva di un futuro sereno. Con la pancia prominente, gli occhi assonnati, la faccia stropicciata, Mitchum è il capofila di una generazione a disagio col doppiogioco amorale della nuova criminalità.
Partendo dal romanzo di George V. Higgins, procuratore distrettuale del Massachusetts (quindi un insider ma dall’altra parte della barricata, quella qui rappresentata nel suo versante meno limpido), il grande artigiano Peter Yates ripensa il noir intersecando l’evocazione classica riferita da un attore struggente come Mitchum con i fermenti della new wave hollywoodiana, trovando nella sgradevolezza estetica ed umana del barista Peter Boyle il rappresentante di un cinismo inconciliabile con gli orizzonti del protagonista. È nel titolo antifrastico che si annida l’amarezza di questa feroce, uggiosa, trenodia al mito dell’amicizia, macchiata da un pessimismo sconcertante, così come nella totale assenza di suggestioni romantiche nella descrizione di criminali infidi ed egoisti (ognuno pensa per sé), impietosi e sprezzanti (le chirurgiche rapine in banche non tracciate). Pur non essendo – né ci si presenta – uno stinco di santo, Mitchum trascorre tutto il tempo a cercare la via di fuga più onorevole, benché da subito il suo sguardo avvezzo al male sembra presagire il destino a cui è stato comunque condannato per precluderli la possibilità del bene.