Giunge al termine la bellissima retrospettiva sulla commedia ebraica, e noi di Cinefilia Ritrovata ci soffermiamo su un film assai poco ricordato all’epoca, Il rompicuori di Elaine May.
Lenny incontra Lila in un bar. I due si sposano dopo breve tempo e vanno in viaggio di nozze a Miami. Durante la vacanza Lenny incontra Kelly, ragazza bellissima e non ebrea del Minnesota. Lenny perde completamente la testa per Kelly e decide di conquistarla in ogni modo possibile, anche a costo di sacrificare il matrimonio con Lila. Quando si parla di commedia ebraica è inevitabile pensare d’istinto a Woody Allen e Mel Brooks, ma in parallelo alla loro comicità roboante e corrosiva vi è un’altra corrente, più cinica e sottile, che dissacra le tradizioni del Popolo Eletto e analizza, con sguardo impietoso, le difficili relazioni tra uomo e donna. La regista Elaine May e lo sceneggiatore Neil Simon, uno degli autori più prolifici della storia di Broadway, rientrano appieno in questa categoria e Il rompicuori rappresenta un’efficace summa della loro poetica comica.
In questo piccolo film, rifatto con esiti infelici da Ben Stiller nel 2007, il matrimonio e la sua ritualità vengono descritti come la fine della passione, il momento cruciale del rapporto in cui viene gettato il velo e tutte le imperfezioni del partner vengono rivelate. Jeannie Berlin, figlia della regista, è strepitosa nel tratteggiare la petulante Lila con piccoli gesti e sbalzi vocali che fanno saltare i nervi al novello sposo Lenny e, con lui, agli spettatori.
Basta un solo incontro con l’angelica Kelly (la Cybill Sheperd che farà perdere la testa a Robert De Niro in Taxi Driver) per spingere Lenny a lasciarsi alle spalle una vita sicura e cercare di far breccia nel cuore della ragazza e dei suoi genitori. Quella che segue è un’escalation di bugie, inganni ed equivoci che incarnano il giudizio degli autori del film sull’amore: un sentimento bruciante e incontrollabile, che ci rende schiavi e ci spinge al limite delle nostre possibilità, lasciandoci indifferenti alle rovine che ci lasciamo alle spalle. Ma, alla fine dei conti, ne vale davvero la pena? Assolutamente no secondo la May e Simon, e lo dimostrano regalandoci un finale amarissimo che strizza l’occhio a Schopenhauer: i desideri, una volta appagati, ci lasciano ancor più famelici e insoddisfatti di prima.
Una menzione di riguardo va fatta all’attore Charles Grodin, qui al suo primo ruolo da protagonista e capace di mettere in scena un personaggio di innata sgradevolezza. Il suo Lenny anticipa, nei modi, il Leonard Zelig di Woody Allen: un uomo comune che, in circostanze straordinarie, diventa un camaleonte sociale, abilissimo nel soddisfare le aspettative dei suoi interlocutori ma al contempo incapace di trovare il proprio posto nel mondo.
A distanza di quarant’anni, Il rompicuori riesce ancora a mettere il dito nella piaga dei rapporti di coppia e si pone a testa alta al fianco delle grandi opere comiche del suo tempo. Non è un caso che Woody Allen si sia affidato a Jeannie Berlin ed Elaine May per le sue due ultime fatiche, Cafè Society e Crisis in Six Scenes, primo approccio del Maestro con la serialità televisiva.
Francesco Cacciatore