Troppo ghiotta questa settimana l’antologia critica di Hiroshima mon amour perché Cinefilia Ritrovata non ne estragga almeno i pezzi di Jean Douchet, Jacques Rivette ed Eric Rohmer. La nuova uscita del progetto Cinema Ritrovato al Cinema, del resto, offre spunti a non finire, come mostra il mini-sito preparato appositamente. Buona lettura.

Potete immaginare Vélasquez che ha appena concluso le sue Meninas mentre già Picasso intesse le sue mirabili variazioni? Certamente no. Ecco, accade qualcosa di simile. Con Hiroshima mon amour, Alain Resnais affranca il cinema dal XVII secolo per immergerlo senza transizioni nel cuore del XX. […] Infrange il quadro della narrazione tradizionale e introduce la tecnica romanzesca cara a Faulkner: il passato dei personaggi o quello storico risale a sprazzi alla superficie del presente e, allo stesso tempo, lo avvelena. D’altra parte, introducendo il cinema nel cinema, Resnais eguaglia le opere letterarie più recenti di un Klossowski o di un Borges: ci offre la riflessione al secondo grado, ci invita al gioco degli specchi […]. Un musicologo, inoltre, potrebbe ritrovare nel ritmo e nel montaggio dei piani di Hiroshima mon amour, l’influenza di Strawinski. Infine, dal punto di vista pittorico, questo film evoca il cubismo, Picasso e Braque. Moderno, Hiroshima mon amour lo è anche per il suo soggetto. È la tragedia dell’impossibilità dell’unione e della pienezza di sé. È la vittoria della segmentazione, della dissociazione, del frammentario. È impossibile essere totalmente uno perché viviamo nell’istante e ogni istante ci condanna alla nascita ma anche alla morte di una parte di noi stessi. È forse il simbolo profondo della prima immagine del film. Si vedono solo due corpi abbracciati, entrambi indistinti mentre li ricopre una pioggia di cenere. Questa cenere, si può immaginare sia la stessa della bomba atomica, ossia come quella delle vestigia della guerra che ricadono ancora sul presente e lo contaminano. Ma io preferisco vedervi il simbolo di una dialettica dell’istante: nello stesso tempo in cui questi individui “si incendiano l’uno per l’altro” (come viene detto ad un certo punto nel testo) già li ricopre la cenere di questo fuoco, la cenere dell’oblio. […] I frammenti del passato di Emmanuelle Riva hanno formato un blocco sempre più compatto che separa irresistibilmente i due amanti. Rivivendo questo passato, mescolandolo al presente, Emmanuelle Riva assume la consapevolezza che il passato non sia altro che un ricordo, morto in lei e dimenticato. Da quel momento, questo amore attuale fra lei e il giapponese è, anch’esso, votato all’oblio, alla morte, è irrimediabilmente condannato. “So che ti dimenticherò, sento che già ti dimentico”, grida, alla fine del film, al giapponese. […] Come nell’opera di Picasso (non dimentichiamo il suo cortometraggio su Guernica), Resnais ama mostrare simultaneamente il volto dell’orrore con un profilo di dolcezza. Come quelle immagini orribili delle persone colpite dall’atomica, accompagnate da un commento lirico e bucolico sulla primavera e la rinascita dei fiori a Hiroshima.

Jean Douchet, Hiroshima mon amour, “Arts”, n. 727, 17-23 giugno 1959

Hiroshima spiega i cortometraggi di Alain Resnais, più che essere spiegato da questi. Solo vedendo Hiroshima si capisce precisamente che cosa volesse dire Resnais in Les Statues meurent aussi, La Bibliothèque Nationale (Toute la mémoire du monde), e persino nel Van Gogh, dove Resnais già si autodefiniva come un cineasta che riflette. Per altro, Hiroshima è effettivamente sbocco e completamento dei cortometraggi che abbiamo ammirato un po’ ciecamente. E tuttavia c’è probabilmente una parte di Hiroshima che adesso noi ammiriamo un po’ ciecamente, e che ci sarà spiegata solo dai film successivi di Resnais. In ogni caso, credo che con Hiroshima possiamo finalmente considerare i cortometraggi di Resnais come un tutto. Sino ad ora giacevano sparpagliati, anche all’interno della nostra ammirazione. Era normale considerarli come tanti casi particolari. Per limitarsi agli ultimi tre, c’erano evidenti somiglianze tra Nuit et brouillard, la Nationale, e Styrène, ma, appunto, si era portati a pensare che si trattava se non proprio di un trucco escogitato da Resnais, perlomeno di uno ‘stile’, con tutto quello che ciò può comportare di profondo e, insieme, di manierato. Nella Nationale apprezzavo soprattutto il contenuto, il soggetto. Trovavo anche la forma molto bella, ma mi dava l’impressione di essere in qualche modo qualcosa di aggiunto, forse di sovrapposto. Dopo aver visto Hiroshima non provo più quest’impressione.

Jacques Rivette, Hiroshima, notre amour, “Cahiers du Cinéma”, n. 97, luglio 1959

Insomma, Alain Resnais è un cubista. Intendo dire che è il primo cineasta moderno del cinema sonoro. Si sono avuti numerosi cineasti moderni nel cinema muto, tra cui Ejzenštejn, gli espressionisti, e anche Dreyer. Ma credo che il cinema sonoro sia stato in certo senso più classico del cinema muto. Non abbiamo ancora avuto un cinema profondamente moderno che abbia tentato di fare ciò che ha fatto il cubismo in pittura e il romanzo americano in letteratura, cioè attuare una sorta di ricostruzione della realtà a partire da una determinata frammentazione, che può magari sembrare arbitraria agli occhi del profano. E, in questa prospettiva, si può spiegare l’interesse di Resnais per Guernica – che nonostante tutto è un quadro cubista di Picasso, sebbene non si tratti di vero cubismo – e, d’altra parte, si può ben spiegare il fatto che si sia ispirato a Faulkner o a Dos Passos, anche se ciò è avvenuto per il tramite di Marguerite Duras.

Eric Rohmer, Hiroshima, notre amour, “Cahiers du Cinéma”, n. 97, luglio 1959