Opera prima del 46enne scenografo Sebastian Muñoz, El Principe arriva a Gender Bender dopo aver vinto il Queer Lion 2019 alla Settimana della Critica, durante la 76esima Mostra del Cinema di Venezia, e dopo essere stato presentato nella sezione Horizontes Latinos al Festival di San Sebastian. Il film è tratto dall’omonimo romanzo di Mario Cruz, narra la vicenda di Jaime (Juan Carlos Maldonado), giovane tormentato dall’impossibilità di esplicitare le proprie pulsioni sessuali verso il migliore amico, per il quale ha una vera e propria ossessione. Durante una serata piuttosto alcolica la situazione gli sfuggirà di mano e lo ucciderà ferendolo alla gola con i cocci di una bottiglia di birra. E proprio qui comincia il film, con l’ingresso in carcere del ragazzo che sancirà definitivamente la sua formazione umana e sessuale, grazie soprattutto a un decano chiamato El Potro (letteralmente il puledro, ma in italiano tradotto lo stallone) interpretato dal solito, impeccabile, Alfredo Castro.
I primi momenti in carcere sono cadenzati dal suono sordo e inesorabile dei chiavistelli e dei cancelli che si chiudono, uno dietro l’altro, ad accompagnare lentamente il venir meno della libertà. Gli ambienti sono cupi, claustrofobici, Le mura sporche e i pavimenti bagnati e luridi della prigione rendono inimmaginabile l’esistenza di un mondo esterno, possibile solamente nei flashback che raccontano allo spettatore com’è successo quel che ha portato Jaime in quel luogo ameno. Paradossalmente però, la costrizione del carcere gli renderà più semplice l’espressione delle proprie pulsioni, anche se in maniera inizialmente molto sofferta. Dopo una traumatica iniziazione, le mura della sovraffollata cella si allargheranno e assumeranno toni caldi e familiari ed El Potro diverrà una vera e propria guida per Jaime, nella vita carceraria e nell’espressione artistica e sessuale di sé stesso.
Una delle prime lezioni che El Potro impartirà a Jaime è la necessità di avere un soprannome all’interno di quelle mura, perché il nome con cui si è conosciuti fuori, lì non vale nulla, conta solamente il modo in cui gli altri decideranno di chiamarti e che significato riuscirai a conferire al tuo “nome d’arte”. Jaime inizialmente sarà chiamato El Principe in maniera ironica e provocatoria, per il suo dolce aspetto e la sostanziale inadeguatezza a stare in carcere, ma durante lo sviluppo narrativo questo nome assumerà un significato altro, El Principe acquisirà sempre più potere, prendendo il posto di El Potro in seguito alla violenta morte.
Muñoz sembra volerci dire che anche in un ambiente restrittivo come il carcere la vita ha un andamento circolare, è fatta di violenza e ingiustizie, di passione e amore, di giochi di potere e gerarchie, che si susseguono e si avvicendano, proprio come nel mondo che sta al di la delle mura.
Potrebbe essere una storia senza tempo e senza luogo, ma sappiamo di trovarci molto vicini a Santiago del Cile in un momento molto importante, solo pochi mesi prima della storica elezione di Salvador Allende, che avverrà il 3 novembre del 1970. Gli unici contatti con il mondo esterno si hanno proprio attraverso i comizi di Allende ascoltati alla radio dai detenuti, che forse creano un ulteriore senso di straniamento, in quanto è come se la vicenda si svolgesse in una dimensione parallela, quasi estranea dalle vicende storico – politiche del periodo, ma allo stesso tempo fondamentali e in nessun modo ignorabili per un autore cileno nato nel 1973.