Cominciamo da oggi a seguire in lungo e il largo il Future Film Festival, ospitato dalle sale del Lumière e sostenuto dalla Cineteca di Bologna. Giunge al Future Film Festival (d’ora in poi FFF) pieno di riconoscimenti il primo e unico film italiano in concorso, Fantasticherie di un passeggiatore solitario di Paolo Gaudio, girato con un misto di tecniche live action, animazione, effetti visuali digitali e stop motion. I tre premi internazionali sono La Semain du Cinema Fantastique – Grand Prix du Festival / Boston Sci-Fi – Best World Film / Fantastic Cinema Little Rock – Audience Award.

La trama: tre personaggi di tre epoche diverse vengono uniti da un sogno di libertà e da un piccolo capolavoro di letteratura. Jean Jacques Renou è uno scrittore che vive nel 1876, in un piccolo e squallido seminterrato. Povero e vecchio inizia a scrivere Fantasticherie di un passeggiatore solitario, un romanzo di formazione che è anche un ricettario fantastico. Theo è un giovane laureando in filosofia dei nostri tempi, da sempre intrappolato tra le vicende opprimenti della propria famiglia e la sua bizzarra passione per i libri incompiuti, non ultimo quello di Renou. Totalmente rapito dal romanzo, Theo giunge alla conclusione di voler realizzare la “Fantasticheria n° 23”: l’ultima “ricetta” scritta dal poeta che conduce in un luogo straordinario noto come Vacuitas. Infine, la storia di un bambino smarrito in un bosco senza tempo: il protagonista di quel libro che Renou sta scrivendo e che Theo sta leggendo con tanto trasporto.

Di fronte a opere come Fantasticherie di un passeggiatore solitario si è sempre in dubbio se privilegiare coraggio e spirito d’iniziativa o rimarcare gli evidenti limiti tecnici. Questi ultimi, peraltro, non hanno certo a che fare con il comparto animazione, di ottima qualità, di malinconica e poetica fattura, e tutto sommato anche di una certa originalità (sia pure in dialogo continuo con i capisaldi di questo sotto-genere). Piuttosto, regia e soprattutto recitazione dei lunghi e non sempre indispensabili corollari narrativi (girati in modo “tradizionale”) tradiscono le fragilità produttive e tecniche di cui sopra. La vicenda, fantasiosa quanto basta per intrigare, anche se non sempre leggibilissima, intride di fantasie nordiche e iconografie non autoctone un immaginario nazionale che – va detto – di opere come quella di Gaudio ha un bisogno disperato. Basterà? Nel frattempo, incontrando il pubblico, il regista ha ammesso di essere in trattative per un’uscita in sala.