Psiconautas, presentato durante la terza giornata del Future Film Festival 2016 e tra i film in competizione per il Platinum Grand Prize, diretto da Alberto Vàzquez e Pedro Rivero, è ispirato all’omonima graphic novel dello stesso Vàzquez e preceduto da Birdboy, con cui l’autore spagnolo vinse il premio per il miglior cortometraggio animato ai Goya nel 2012.

Birdboy è anche il nome del protagonista di quest’opera popolata da animali antropomorfi e oggetti che prendono vita e manifestano sentimenti. Sullo sfondo un mondo degradato, dove un disastro nucleare e una vorace discarica inquinano l’isola natìa del protagonista, costringendolo alla fuga. Visivamente rappresentato come un uccello dalla grande testa tonda in abito da sera, Birdboy è un giovane malato che, in linea con il genere di individui che conferisce il titolo alla pellicola (gli psiconauti s’inducono volontariamente in stati alterati della coscienza per esplorare la propria psiche), fa uso di sostanze psicotrope per sfuggire al disagio, all’insofferenza e all’odio che prova verso ciò che lo circonda. Attorno gli gravitano altre figure, spesso coetanei, che sembrano non dare tregua né a lui e né alla dolce Dinky, la sola che comprende il suo disagio, anch’essa fuggiasca a causa di una famiglia che la opprime e inibisce una completa espressione di sé.

Psiconautas ha il pregio e il coraggio di mettere in scena un cosmo facilmente assimilabile a un futuro prossimo e distopico ma, a guardar più attentamente, non fa che sottolineare ed enfatizzare gli enormi problemi propri della società odierna, caratterizzata da un sistema che, se lungamente trascurato, aprirà scenari incontrollabili, irreversibili e apocalittici. Lo scellerato sfruttamento della natura e la conseguente invivibilità della stessa avrà pesantissimi effetti su chi la abita, costringendo la ricerca di nuovi lidi nei quali approdare e riuscire a vivere dignitosamente. Tale irrefrenabile necessità di evasione dal proprio mondo è traslata in Birdboy non solamente su un piano fisico, ma soprattutto psichico proprio attraverso l’utilizzo di sostanze proibite. I suoi viaggi mentali sono riportati sullo schermo su un piano narrativo e figurativo, facendo leva su inusuali e spigolose rappresentazioni di animali solitamente dipinti dolcemente, su un paradossale sentimentalismo di oggetti inanimati e sulla distorsione della realtà in chiave lievemente espressionista (soprattutto da un punto di vista cromatico).

Nonostante la forte e decisa critica all’uomo e al suo modo di rapportarsi con il mondo che lo ospita, all’interno dei cupi e catastrofici meandri della narrazione Vàzquez e Rivero lasciano spazio ad una piccola feritoia di speranza, legata inevitabilmente ai classici sentimenti positivi di amore e amicizia, i soli a rendere tangibile una possibilità di riscatto e un’inversione di rotta verso una più rispettosa  e solare esistenza e convivenza.

Stefano Careddu